Dalle stelle alle celle: VIP africani in carcere

di Stefania Ragusa

José Filomeno dos Santos, figlio dell’ex presidente padrone angolano José Eduardo, è stato condannato venerdì  scorso a 5 anni di prigione per frode. Per il momento però non andrà in carcere:  i suoi legali hanno prontamente presentato un ricorso, ottenendo gli arresti domiciliari in attesa del responso. Nel continente ci sono tuttavia diverse figure politiche di rilievo che, dopo essere state ai vertici del potere, sono rovinosamente cadute e si trovano oggi dietro le sbarre.
Nel reparto VIP della prigione centrale di Kondeui, a Yaoundé, in Camerun, incarcerato da più di un anno, c’è l’ex ministro della Difesa Edgar Alain Mebe Ngo’o, accusato di malversazioni finanziarie. A marzo del 2019, con lui era stata arrestata anche la moglie, Bernadette, che in cella ha contratto il covid-19 e ha avuto una serie di complicazioni sanitarie e per questa ragione è stata ospedalizzata per un breve periodo (troppo breve secondo i medici). A Kondeui non c’è però un reparto VIP riservato alle donne e Bernadette è stata assegnata a una “normale” cella sovraffollata. Gli avvocati della coppia hanno avviato una procedura di habeas corpus per chiedere la loro scarcerazione immediata.

Nella Maison d’arrêt et de correction des armées (Maca), a Ouagadougou, si trova Gilbert Diendéré, in un reparto VIP appositamente allestito per lui, dove occupa un bilocale climatizzato e equipaggiato con un televisore. Il generale burkinabè, ex capo di stato maggiore e braccio destro di Blaise Campaoré, è stato condannato a vent’anni in quanto ideatore del mancato colpo di stato del 2015. La sua posizione potrebbe aggravarsi ulteriormente nel futuro. Deve infatti rispondere delle sue azioni in una questione che nella terra degli uomini retti continua a essere un tabù:  la morte di Thomas Sankara. A dieci anni è stato condannato il generale Djibril Bassolé, colpevole  di avere collaborato con lui nel golpe fallito, che però non si trova in carcere: essendosi ammalato di cancro, ha ottenuto di uscire anzitempo.

Il generale Jean-Marie Michel Mokoko è stato evacuato in Turchia dopo lunghe trattative con il presidente del Congo Brazzaville Denis Sassou Nguesso. E a favore dell’evacuazioe si sarebbero espressi personalmente il presidente della Repubblica Democratica del Congo Félix Tshisekedi e quello angolano, Joao Lourenço. Lo stato di salute di Mokoko, 73 anni, incarcerato da quattro anni, si era aggravato al punto di richiamare l’attenzione della comunità internazionale: era corsa anche la voce che avesse contratto anche il Covid-19. Ex candidato alle elezioni presidenziali del 2016, Mokoko è stato condannato due anni dopo a 20 anni di carcere per aver messo in pericolo la sicurezza dello Stato. Anche per lui era stato allestita una cella VIP, dotata di un grande letto, un piccolo salottino, frigorifero e ventilatore.

L’ex presidente ciadiano Hissène Habré, considerato il Pinochet d’Africa e condannato al carcere a vita per crimini contro l’umanità, è tornato il 7 giugno in carcere a Dakar dopo avere goduto di due mesi di detenzione domiciliare dovuti all’emergenza coronavirus. La decisione del tribunale senegalese era stata molto contestata. Il governo si era impegnato però dal primo momento a rispettare alla lettera il provvedimento, assicurando che allo scadere dei sessanta giorni Habré sarebbe ritornato nella sua cella a Cap Manuel. Così è stato.

Il carcerato eccellente di cui si è parlato più spesso ultimamente è senz’altro Vital Kamerhe. L’ex braccio destro del presidente Felix Tshisekedi, è rinchiuso nel Centre pénitentiaire et de rééducation di Kinshasa, conosciuto come prigione di Makala, da circa 4 mesi. Condannato il 20 giugno a 20 anni di prigione e 10 anni di ineleggibilità per “appropriazione indebita” e “corruzione” in primo grado, Vital Kamerhe avrebbe dovuto essere giudicato in appello il 7 agosto ma la seduta è stata rinviata al 21. Pur godendo di molti privilegi, ha fatto di tutto per dividere la cella con altri detenuti, più per ragioni di sicurezza (teme che qualcuno possa avvelenarlo o attentare in altro modo alla sua vita) che per spirito di eguaglianza. Dalla sua cella controlla il partito, aspetta il 21 agosto e nega pervicacemente di essere stato scaricato da Tshisekedi.

(Stefania Ragusa)

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