Covid in Africa, ecco perché la pandemia ha segnato un prima e un dopo

di claudia

Di Federico Pani – Centro studi AMIStaDeS

La risposta alla pandemia di COVID-19 sembra aver aiutato i Paesi del Continente africano a rafforzare le principali misure di fronte alle emergenze sanitarie pubbliche, tra cui la prevenzione e il controllo delle infezioni. Sebbene la campagna vaccinale abbia mostrato alcuni gravi limiti, rimane la speranza che i miglioramenti nel campo sanitario potranno aiutare in futuro il continente africano a gestire non solo il COVID-19, ma anche altri focolai epidemici.

Perché la pandemia di Covid-19 sembra segnare un prima e un dopo nell’intero Continente africano?

Se all’inizio della pandemia di COVID-19, il numero medio di posti letto nelle unità di terapia intensiva era di circa 3 per 100.000 persone, valore al di sotto della raccomandazione dell’OMS (minimo 5 ogni 100.000 persone), i dati disponibili alla fine del 2022 indicano che grazie al sostegno dell’OMS, il 70% dei Paesi nel continente africano sono ora in grado di soddisfare lo standard dei letti delle unità di terapia intensiva.

Anche la produzione di ossigeno medico è stata potenziata. Se nel 2019, il Continente poteva contare su 2600 concentratori di ossigeno, ora ne possiede 6901. L’OMS ha inoltre spinto per la creazione e il mantenimento di impianti di produzione di ossigeno.

La “battaglia”, tuttavia, non è ancora vinta. Sebbene l’assistenza ai pazienti con COVID-19 in condizioni critiche sia notevolmente migliorata nel corso degli ultimi mesi, i Paesi africani dovranno comunque prodigarsi per rafforzare ulteriormente le proprie capacità e per far fronte ad una nuova ondata di casi, innescati da una possibile nuova variante letale e trasmissibile. L’impennata di casi sul finire del nuovo anno, tanto in Cina, quanto nel Vecchio continente, ha rimarcato infatti l’importanza di mantenere alta la guardia nelle misure di contenimento della pandemia.

Una valutazione dell’OMS che metteva la lente d’ingrandimento su oltre 5100 strutture sanitarie presenti in 18 Paesi africani e che prendeva in esame 14 indicatori di prevenzione e controllo delle infezioni, come ad esempio lo screening contro COVID-19 all’ingresso delle strutture, l’isolamento dei casi sospetti e l’uso di dispositivi di protezione individuale, ha riscontrato un miglioramento significativo, con un punteggio di 67% nel novembre 2022, rispetto al 54% registrato nel luglio 2020. Tuttavia, la stessa OMS raccomanda alle strutture di ottenere un punteggio superiore al 75%. Con uno sforzo sostenuto da parte di tutto il continente potrebbe essere possibile raggiungere questa percentuale nel corso del 2023. Prevenzione e controllo saranno dunque le parole d’ordine nelle strutture sanitarie africane, fattori fondamentali anche per prevenire la diffusione di una gamma di agenti patogeni infettivi, come ad esempio lo sono stati in passato Ebola e lo stesso COVID-19.

Nel corso dell’ultimo biennio, l’Africa ha inoltre fatto enormi passi in avanti nel sequenziamento genomico: nel 2022 sono state prodotte circa 105.000 sequenze rispetto alle 58.610 registrate nell’anno precedente.

Se nei punti sopra esaminati il Continente ha compiuto enormi passi in avanti sul piano sanitario, diverso risulta essere il discorso per i risultati ottenuti dalla campagna vaccinale: soltanto un africano su 5 risulta essere immunizzato contro il Covid-19.

Campagna vaccinale: un fallimento?

Stando ai dati COVID-19 vaccination in the WHO African Region- 05 April 2022, solo il 17% degli abitanti ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino contro il coronavirus. La metà delle dosi fornite ha finito per non essere somministrata, spesso per assenza di personale sanitario, di difficoltà logistiche o inadempienze governative.

Alcune iniziative hanno cercato di superare queste criticità. Di particolare rilevanza ha assunto l’opera di Medici con l’Africa CUAMM che ha cercato di sviluppare un intervento di risposta emergenziale a Kolfe Keranyo, uno dei distretti di Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Si tratta di un’area densamente popolata e caratterizzata da una marcata povertà urbana e da insediamenti informali, dove l’accesso ai servizi sanitari e alle risorse primarie, come l’acqua, sono spesso limitati. Secondo l’OMS, nel Paese si sono registrati quasi cinquecentomila i casi e 7.572 i decessi per Covid-19 nel periodo compreso tra il 3 gennaio 2020 e il 20 dicembre 2022.

A questi numeri drammatici ha cercato di dare risposta il progetto “Support to the roll out of Covid-19 vaccination campaign in Addis Ababa”, il quale annoverava tra i suoi obiettivi principali quello di sensibilizzare la popolazione riguardo la vaccinazione contro il Covid-19 tramite campagne a livello comunitario, nel tentativo di fornire supporto logistico e finanziario all’amministrazione di Addis Abeba per la campagna vaccinale, e supportare il monitoraggio e raccolta dati riguardo la popolazione immunizzata. Il progetto ha visto gli operatori coinvolti in visite a domicilio, sessioni nelle scuole, nei mercati e nelle aree molto frequentate: le attività di mobilitazione, attraverso la diffusione di messaggi di sensibilizzazione hanno raggiunto quasi un milione di persone, dal giugno scorso ad oggi.

Operatrici, operatori sanitari e i volontari del progetto si sono prodigati nel cercare di convincere famiglie e persone vulnerabili a farsi vaccinare contro il Covid-19, cercando di far superare la ritrosia delle persone a farlo, spesso ingiustamente motivata da paura per miti e false credenze. Quali? Paura dell’infertilità, di avere una trombosi, paura di morire dopo aver ricevuto il vaccino, la convinzione che il Covid-19 non esista o che solo Dio lo possa guarire, la paura dello stigma sociale, il timore che il vaccino fosse solo un mezzo di strumentalizzazione politica del vaccino. Il supporto fornito dagli operatori è stato inoltre determinante per costruire un legame di fiducia e aprire la strada a un dialogo costruttivo con le persone, permettendo loro di sentirsi ascoltate e coinvolte.

Progetti vincenti ed esempi da seguire

La campagna di sensibilizzazione ha convinto oltre cinquantamila soggetti considerati “vulnerabili”, in particolare, donne incinte, disabili, malati cronici e over 50, a farsi vaccinare. Oltre al lavoro di sensibilizzazione, rimarchevole è stato il sostegno finanziario e logistico, come la fornitura di materiale medico e il pagamento del personale sanitario coinvolto.

Il progetto potrebbe fare da modello per altri Paesi del continente che potrebbero seguire a ruota l’esempio: il punto di forza degli operatori è stato quello di essere in grado di lavorare a stretto contatto con le comunità, grazie anche alla solida e continua collaborazione con autorità e istituzioni locali, sulla falsariga di quanto avvenuto nel Maghreb dove una politica collaborativa e basata su più attori è risultata essere la chiave vincente per ridurre le infezioni, salvare vite umane e mitigare gli impatti socio-economici causati dalla pandemia.

Oltre a questo, nel corso del 2023 una strategia praticabile potrebbe essere quella di cessare di considerare il contrasto al COVID-19 come modalità di risposta ad una emergenza e integrare invece la prevenzione contro il coronavirus nell’assistenza sanitaria di routine. Ghana e Nigeria, che si sono già mosse in questa direzione, potrebbero fare da esempio e spingere così altri Paesi del Continente verso questa strada.

Sitografia:

-COVID-19 burden lessens in Africa, vigilance crucial as year-end season begins, WHO Africa, 8 dicembre 2022.

-LA COMUNITÀ: CHIAVE DEL CAMBIAMENTO, Medici con l’Africa Cuamm, 2 gennaio 2023.

-China coronavirus: 60,000 Covid-related deaths in just over a month, BBC, 14 gennaio 2023.

bbc.com/news/world-asia-china-64276608.amp

-Simonetta Pagliani, Covid-19 in Africa, quanti sono i vaccinati? E quanti i morti?, Scienza in rete, 29 aprile 2022.

Monografia:

-Anis Ben Brik, The COVID-19 Pandemic in the Middle East and North Africa”,Routhledge, 2023.

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