Camerun| Popolazione ostaggio della fame e delle violenze

di AFRICA
protesta Camerun

In Camerun la popolazione vive una situazione drammatica, stretta tra le violenze dei separatisti anglofoni, dell’esercito e del gruppo terrorista di Boko Haram, e la disastrosa situazione economica aggravate dalla pandemia di Covid-19

Come anche in altri Paesi in Africa, in Camerun la pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che aggravare un quadro già di per sè complesso e drammatico per la popolazione, in particolare per gli sfollati delle due regioni anglofone a Sud-Ovest e Nord-Ovest del Paese. Ma non solo.

Dalla fine del 2016, infatti, le istanze dei nazionalisti delle due province anglofone hanno preso vigore e concretezza in un processo che iniziò con scioperi e rivendicazioni di avvocati e insegnanti, continuò con manifestazioni che chiesero sempre più autonomia delle due regioni, scatenò la repressione violenta militare da parte del governo, portò alla creazione di formazioni armate tra i gruppi separatisti. Si arrivò così nel 2017 alla richiesta di secessione dal Camerun e alla nascita dello Stato indipendente di Ambazonia: da allora, la spirale drammatica di violenza si abbatte da anche sui civili, vittime di rappresaglie dei separatisti e dell’esercito. 

Nel rapporto di Amnesty International 2019-2020 si denuncia come «nelle regioni anglofone del Camerun, i gruppi separatisti armati hanno continuato a commettere abusi come omicidi, mutilazioni e sequestri. Inoltre, sono state numerose le strutture sanitarie ad essere distrutte dai separatisti. Le forze militari hanno risposto con esecuzioni extragiudiziali e abitazioni date alle fiamme». A febbraio scorso, l’esercito si è reso responsabile di un attacco a un villaggio in cui sono state uccise 22 persone, di sui oltre la metà bambini.

Gli ultimi episodi di violenza si sono verificati appena prima di ferragosto. L’11 agosto è circolato tra i social un video che ha suscitato scalpore e indignazione, in cui si assiste all’esecuzione in pieno giorno a colpi di machete di una giovane donna: secondo il corrispondente sul posto di Radio France International, alcuni media locali indicherebbero come autori del crimine i combattenti ambazoniani. Il 14 agosto invece è stata la volta dell’assassinio denunciato dal Programma Alimentare Mondiale (Pam) dell’Onu di un operatore umanitario da parte di uomini armati non identificati. «Questo assassinio è l’ultimo di una serie di attacchi, di estorsioni violente e di minacce contro gli operatori umanitari nella regione del Sud-Ovest e Nord-Ovest. Si verifica appena un mese dopo l’omicidio di un operatore sanitario nella regione del Sud-Ovest», dichiara Siti Batoul Oussein, coordinatrice umanitaria dell’Onu in Camerun.

Gli ulteriori atti di violenza delle ultime settimane hanno portato il Centro per i diritti umani e per la democrazia on Africa (Chrda) a lanciare un appello ai gruppi armati separatisti anglofoni affinché cessino di commettere atrocità nei confronti di civili: rapimenti, reclutamenti forzati, torture, omicidi. 

In un Paese di poco più di 25 milioni di abitanti, dall’inizio del conflitto separatista le violenze hanno causato circa 3.000 vittime, mentre secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unchr), gli sfollati interni sarebbero quasi 680.000. A questi si aggiungono, oltre che i 419.000 rifugiati stranieri (principalmente dalle vicine Repubblica Centrafricana e Nigeria), gli sfollati camerunesi causati dagli attacchi del gruppo terrorista jihadista Boko Haram nella parte nord del Paese confinante con la Nigeria. 

A completare infatti tragicamente il quadro, ci sono gli assalti del gruppo di matrice islamista nigeriano, che da tempo ha travalicato i confini di azione intervenendo anche nei paesi confinanti: in Camerun, nel 2019, Boko Haram avrebbe commesso oltre 100 attacchi, mentre nel 2020 sono attribuiti a loro i tragici episodi di fine gennaio, di aprile e del 4 agosto, che hanno causato in tutto la morte di 36 persone.

Ad oggi i casi di Coronavirus in Camerun sono 18.308, e 401 i decessi. Gli sfollati, già traumatizzati dalle violenze e afflitte dai problemi più elementari e importanti come l’alloggio, la nutrizione e la salute, sono i più esposti alla pandemia, e ancor più ai suoi effetti: la miseria e la fame. In un Paese il cui l’Indice di Sviluppo Umano si posizionava già prima dell’emergenza sanitaria alla 150esima posizione a parimerito con Zimbabwe su 189, è facile intuire i contraccolpi delle misure di lotta al coronavirus imposte dal governo (restrizioni di assembramento e di attività) sull’economia del Paese e soprattutto su persone che vivono per lo più alla giornata con lavoretti ed espedienti di economia informale.

Ecco allora come continua a consumarsi la tragedia in un Paese governato da 38 anni di potere indiscusso da Paul Biya, che ormai all’età di 87 anni è forse oggi troppo occupato a cercare di conservare il suo posto nella cricca dei presidenti a vita del continente africano.

(Luciana De Michele)

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