Bazaruto, incanto a pelo d’acqua

di claudia

Al largo delle coste meridionali del Mozambico c’è un paradiso incontaminato di sei isole bianche circondate dalle acque turchesi dell’Oceano Indiano. Qui l’unione fra terra e acqua ha creato un’alchimia magica

di Gianni Bauce

Si nuota in mezzo ai pesci pappagallo, accanto alle testuggini marine, tra i delfini che giocano con le onde. Ci si rilassa su spiagge di bianca sabbia corallina. E se si guarda verso occidente, dove la linea del continente si staglia appena visibile in lontananza, ci si domanda se sia proprio il caso di tornare “a terra” o se non valga la pena di restare per sempre in quel paradiso. Al largo delle coste meridionali del Mozambico c’è un habitat incontaminato dove terra e oceano si accarezzano solitari, con il ciclico riflusso delle maree o con il soffio dei venti, cancellando i confini, giocando con la mutevolezza delle dune, il volo leggero degli uccelli, il canto delle balene e il guizzare dei delfini.

Questo luogo magico è l’Arcipelago di Bazaruto, una manciata di isole che affiorano dalle acque turchesi dell’Oceano Indiano a circa venti chilometri dalla costa, al largo della cittadina di Vilankulo.

Il regno del dugongo

Un tempo l’arcipelago fu una penisola. Ma circa venticinquemila anni fa, con l’elevazione del livello degli oceani, le acque inghiottirono ampie porzioni di terra. Lambite dalla corrente calda di Benguela, le isole sono l’ambiente ideale per la crescita del corallo, e la barriera che sorge al largo delle coste orientali dell’arcipelago ospita una ricchissima vita marina: in queste acque nuotano più di seicento specie di pesci, tra cui squali, mante e squali balena, e non mancano i cetacei, come le balene, e cinque diverse specie di delfini.

Sinuose e leggiadre, nonostante la loro ingombrante armatura, le testuggini marine sembrano volare nelle acque temperate; ma la creatura più straordinaria ed elusiva di queste coste è il raro dugongo (Dugong dugong), un sirenide dalla dieta vegetariana che “pascola” sui fondali rivestiti di alghe. Nei cieli che sovrastano le spiagge e l’entroterra delle isole, si librano più di centosessanta specie di uccelli, tra le quali aironi, garzette, fenicotteri, pavoncelle, pellicani, ma anche ghiandaie marine pettolilla, martin pescatore, cormorani, jacane africane, due specie di gruccioni e numerose cicogne, senza contare le migliaia di uccelli migratori paleartici che popolano l’arcipelago durante i mesi estivi.

Sotto la superficie dell’acqua si celano barriere coralline incontaminate di colori brillanti. Fino a poco tempo fa, questo paradiso è rimasto isolato, dapprima per la guerra d’indipendenza dal Portogallo e poi per la lunga guerra civile che seguì
Per raggiungere il paradiso è necessario prendere un volo aereo che atterra sull’unico aeroporto dell’arcipelago, sull’isola di Bazaruto. In alternativa, ci sono numerose imbarcazioni che partono dalla città costiera di Vilankulo

Parco protetto

Questa eccezionale biodiversità, è distribuita su un territorio dagli svariati ecosistemi che vanno dalla savana alle foreste di mangrovie, dalla boscaglia fitta alle dune di sabbia, dalla barriera corallina alle paludi inondate periodicamente dalle maree: una ricchezza naturale che ha indotto il governo Mozambicano, nell’anno 2000, a dichiarare l’arcipelago parco nazionale, e oggi è in atto un progetto di partnership con l’organizzazione internazionale African Parks per una gestione congiunta dell’area.

Su alcune isole sorgono villaggi di pescatori e strutture ricettive di alto livello e basso impatto ecologico, che si affacciano su spiagge di sabbia bianchissima. Tra la barriera corallina SEMBRA MANCARE QUALCOSA: “Tra… e…?” le acque sono incredibilmente limpide e la visibilità è ottima anche fino a quaranta metri di profondità, così da costituire un’attrazione irresistibile per gli appassionati di immersioni e snorkeling.

La storia dell’uomo sulle isole è relativamente recente: gli arabi vi installarono stazioni commerciali nel XV secolo, mentre i portoghesi vi arrivarono soltanto a metà del secolo successivo, sull’isola di Santa Carolina, per commerciare perle e ambra grigia. L’arcipelago venne risparmiato dalla devastazione della guerra civile degli anni Ottanta grazie alla sua relativa lontananza dalla costa, ma vi si rifugiò un numero impressionante di profughi, creando una pressione sull’ambiente devastante, che fortunatamente rientrò al termine della guerra (1992), quando i fuggiaschi poterono tornare nei loro villaggi.

Oggi gli abitanti dell’arcipelago sono circa tremila, in larga parte pescatori, distribuiti su cinque isole principali, e vivono in simbiosi con l’ambiente.

Baie e lagune

Bazaruto, dalla forma allungata, è la maggiore delle isole dell’arcipelago. Con i suoi quasi quaranta chilometri di lunghezza e sette di larghezza, sfoggia le sue rive di sabbia gialla che si affacciano sull’oceano, alcune delle quali, come quella di Baia do Veleiro, si elevano in dune altissime che il vento modifica continuamente. A Ponta do Arena, sull’estremità nord-orientale dell’isola, si trova Baia dos Golfinhos (la Baia dei Delfini), dalla quale si scorge il Farrol do Bazaruto, un faro costruito nel 1913 dall’autorità coloniale portoghese per segnalare l’isola ai natanti provenienti dall’Oceano Indiano e che fa parte della schiera di fari costruiti tra il 1908 e il 1931. Durante questo periodo, lungo la costa del Mozambico vennero erette ben trentadue torri di segnalazione per traffico marittimo, ventitré delle quali tutt’oggi visibili e funzionanti.

La dorsale centrale dell’isola è punteggiata di lagune circondate da canne e palmeti, sulle cui acque volteggiano aironi, cormorani e pellicani. Dal pelo dell’acqua si vedono affiorare di tanto in tanto le narici e gli occhi freddi di un coccodrillo alla ricerca di una preda.

Perle delicate

A sud di Bazaruto sorge Benguerra, lunga poco più di un quarto della sorella maggiore. Con le sue spiagge incantevoli lambite dalle maree è la perla dell’arcipelago. Passeggiando sulle sue coste si trovano gli esoscheletri del “dollaro di mare” (invertebrati marini parenti prossimi del riccio di mare); quando l’animale muore e si decompone sulla sabbia, ne resta soltanto il bianco scheletro dalla forma circolare, con al centro un disegno a forma di fiore dal caratteristico colore purpureo.

L’isola, spazzata dal vento, è affacciata su un oceano turchese dal quale, durante la bassa marea, emergono banchi sabbiosi che macchiano di candide pennellate l’azzurro e verde dell’acqua; qui, stormi di fenicotteri si radunano per banchettare con i crostacei portati in secca dalla marea. Magaruque e Bangué sono le sorelle minori emergenti a sud di Benguerra: ammantate di sabbia bianchissima che forma spiagge incantevoli e deserte, affacciate su tratti di barriera corallina di rara bellezza, possiedono fondali con una spettacolare fauna ittica dove i delfini guizzano a pochi metri dalla costa.

A metà strada tra l’isola di Bazaruto e la costa continentale sorge invece Santa Carolina, una microscopica isola rocciosa a forma di mezzaluna, lunga circa tre chilometri e affacciata su una splendida barriera corallina. Questo gioiello oceanico venne deturpato negli anni Cinquanta dalla costruzione di un hotel di lusso, oggi in completo stato di abbandono e pericolante. L’unico riscatto per questo edificio in rovina è rappresentato dal progetto del suo smantellamento e dall’utilizzo delle sue macerie per costruire una barriera sottomarina a protezione delle coste orientali dell’isola. Se nessuna misura verrà adottata, infatti, il destino di Santa Carolina, fortemente esposta alla violenza dei flutti oceanici, sarà quello di venire prima o poi spezzata in due dall’azione erosiva delle onde.

E se i cambiamenti climatici in atto proseguiranno senza freni, l’intero paradiso di Bazaruto potrebbe sparire per sempre sotto le acque dell’oceano.

La più grande isola dell’arcipelago è Bazaruto, seguita, in ordine di grandezza, da Benguerra, Magaruque, Bangué e Santa Carolina. C’è poi un sesto isolotto, disabitato, Pansy Island, chiamato “Shell” (conchiglia): poco più di un banco di sabbia finissima come borotalco
La mancanza di pesca commerciale ha mantenuto intatte le barriere coralline di Bazaruto, che oggi sono protette dai guardiani che vigilano sul parco marino

(Gianni Bauce)

Questo articolo è uscito sul numero 5/2020. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui o visita l’e-shop.

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