Attenta, Chiesa d’Uganda, a non invecchiare male

di Enrico Casale
papa francesco

Tappa quasi tutta “ecclesiale”, quella ugandese. Era del resto prevedibile, sia per l’occasione della visita – il cinquantenario della canonizzazione di san Carlo Lwanga e compagni martiri – sia perché quella in Uganda è una Chiesa cattolica abbondantemente sopra la media africana in termini percentuali (47% della popolazione; a oltre il 10%, poi, sono stimati gli anglicani) e che, oltretutto, da decenni offre un’immagine di sé piuttosto “massiccia”. «L’Uganda ha vissuto la testimonianza dei martiri cristiani. Essi ci aiutino a diffondere la gioia del Vangelo senza paura» è stato il tweet di @pontifex per il 28 novembre.

Se gli incontri con i catechisti e alla Casa della Carità di Nalukolongo, la grande celebrazione di popolo al santuario di Namugongo e il faccia a faccia con i giovani sono stati momenti positivi, di riconoscenza e di incoraggiamento da parte del vescovo di Roma che «presiede alla carità», più provocatorio è stato il momento in cattedrale con clero, religiosi e religiose, seminaristi. C’erano anche i vescovi (32!), ma con loro papa Francesco aveva già avuto poco prima un incontro a porte chiuse. Nessuno sa quel che si siano detti: quel che abbiamo visto è che in cattedrale Bergoglio ha affidato il discorso pronto alla diffusione cartacea e telematica, e si è rimboccato le maniche per dire a braccio (ma in modo ben strutturato) le cose che gli premevano. Con garbo, ma con chiarezza. Tre le parole chiave: memoria (dei martiri), fedeltà, preghiera. Con il monito a non fare della «perla dell’Africa» – l’Uganda, secondo l’espressione di Churchill da lui citata in più occasioni, intesa come Paese «irrigato dal sangue dei martiri» – una ricchezza da… «conservare in un museo. Perché il demonio attacca così, poco a poco». E in Africa evocare il demonio è certamente più eloquente che non farlo in Europa. Perché «noi religiosi, religiose, sacerdoti, non possiamo condurre una doppia vita». E poi un consiglio di “strategia” ecclesiastica concreto: «Che le diocesi con molto clero si offrano a quelle che hanno meno clero. Così l’Uganda continuerà ad essere missionaria».

Un discorso che è suonato come una mezza tirata d’orecchi: l’Uganda ha già cominciato a somigliare troppo a certe Chiese della vecchia Europa… Tant’è vero che uno fra gli stessi vescovi, l’italiano Franzelli, ha dichiarato prima della visita: «Francesco viene a chiedere ai martiri di Uganda la saggezza per guidare la Chiesa incontro ai poveri: ce n’è bisogno anche in questo Paese!». E ha soggiunto, citando la tappa keniana del Pontefice: «Ha chiesto di superare le divisioni, siano esse etniche o politiche o religiose: è un appello che ha un valore fondamentale anche qui in Uganda, un Paese devastato dalla guerra civile e dove è ora in corso una campagna elettorale, un momento delicato, che non deve provocare nuove fratture».

C’è da dire che anche qui come in Kenya i discorsi di benvenuto e di presentazione degli ecclesiastici erano sempre piuttosto aridi e ingessati. A ognuno, poi, di valutare il perché dell’abbondante uso del latino nelle celebrazioni, della comunione in bocca e di altre opzioni liturgiche.
Sempre restando in campo ecclesiale, non si può infine mancare di osservare la forte attenzione ecumenica: prima di Namugongo, papa Bergoglio ha visitato l’omologo santuario anglicano (perché ci furono martiri anche anglicani, anzi di più: 23 a 22), dove si è anche inginocchiato a pregare. È ormai evidente che quella ecumenica-interreligiosa è una costante di tutta questa visita. E, nell’omelia, il Papa ha coniato una nuova, efficace espressione: «Ecumenismo del sangue». Dopo le visite di dovere ai rispettivi capi di Stato, cominciano quelle di piacere, e quelle con i leader di altre fedi non mancano mai. A Bangui il primo incontro in agenda sarà in casa protestante; l’ultimo, in moschea.

Infine, due aspetti extra programma ufficiale: la presenza di pellegrini e vescovi dal Burundi, che con l’Uganda non è nemmeno confinante ma che in questo momento ha bisogno di una benedizione tutta speciale; e, più curioso, l’incontro alla chetichella, in nunziatura, con il presidente del Sud Sudan. Solo una ventina di minuti, ma che dovevano valere lo spostamento, per Salva Kiir.
Ci sarebbe da ritornare sui giovani. In una parola sola: come sempre… i migliori!

Pier Maria Mazzola

Condividi

Altre letture correlate:

Lascia un commento

Accetto la Privacy Policy

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.