A Napoli l’arte africana esce dall’anonimato

di claudia

di Stefania Ragusa

Negli ultimi tempi Napoli si è distinta per aver ospitato nel suo castello simbolo, il Maschio Angioino, alcuni degli eventi espositivi più interessanti e qualitativamente ragionati nel campo dell’arte e delle culture africane. La mostraSacri spiriti. I Songye nella Cappella Palatina, inaugurata il 29 ottobre e aperta fino al 15 gennaio, è l’ultima in ordine di tempo. Si tratta di un’esposizione che riguarda una precisa tipologia di oggetti sacri (i mankishi, sculture di varie dimensioni che hanno la funzione di connettere uomini e spiriti) riferita ai Songye, un gruppo etnico dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, in una zona meno di altre toccata e “sconvolta” dall’azione di missionari e colonizzatori. Rispetto a questi manufatti sono stati individuati anche cinque maestri, di cui non si conosce il nome ma è stato possibile definire la collocazione, ossia i villaggi in cui erano attivi. Non sono precisazioni da poco. Nel presentare le produzioni artistiche e culturali dall’Africa permane un grado di approssimazione che non sarebbe tollerato per manufatti di altra provenienza. Si confonde l’arte con l’etnografia e si continua a parlare di autori anonimi. Ma i curatori di questa mostra, gli africanisti Bernard de Grunne e Gigi Pezzoli, oppongono (e non da oggi) un rifiuto netto a questo stereotipo.

Molto interessante, poi, la scelta di portare sculture animiste in un antico luogo della cristianità come la Cappella Palatina. I curatori hanno cercato e trovato un contatto tra due dimensioni del sacro dotate di statuti ontologici ed etici diversi, ma rispondenti al medesimo bisogno di senso e ordine.

Condividi

Altre letture correlate: