Viaggio in Tanzania alla scoperta di una foresta dall’eccezionale biodiversità

di claudia

di Ilaria De Bonis

La riserva naturale di Amani, nel nord della Tanzania, è una vasta distesa di alberi possenti e millenari, sorta di dinosauri vegetali, che danno vita a un habitat tropicale unico al mondo, dove prosperano centinaia di specie animali. Un eden naturale protetto da attivisti e scienziati (anche italiani)

Gli occhi di Alloyce Mkongewa vedono perfettamente nella notte nera e senza stelle. Catturano tra le felci della foresta pluviale quello che nessun altro riuscirebbe a distinguere neanche in pieno giorno. Quando avvista uno dei Rhampholeon temporalis mimetizzati tra i rovi, Alloyce accende la torcia a raggi ultravioletti e disegna un piccolo cerchio attorno al camaleonte che dorme. Poi invita il gruppo di turisti ad avvicinarsi al rettile. La cresta e il corno del camaleonte sono della stessa nuance delle foglie e passano dal verde fluorescente al grigio maculato.

L’esperienza notturna nell’Amani Nature Reserve della Tanzania, alla ricerca delle sette specie di camaleonti più rari al mondo, è davvero insolita per chi arriva dall’Europa in cerca di prodigi. E lascia senza parole anche l’incontro ravvicinato con gli esemplari di Leptopelis vermiculatus, le raganelle pavone della foresta di Amani, il cui colore varia, a seconda dell’età, dal verde brillante al marrone con varie sfumature. 

Eppure rane, camaleonti, colobi bianchi e neri, blue monkey, farfalle arcobaleno e persino i Bubo vosseleri, i gufi-aquila africani, non sono le sole attrazioni di questa incredibile foresta tropicale. I veri protagonisti della riserva di Amani – una biodiversità spettacolare che copre una superficie di 83.600 ettari – restano gli alberi: dinosauri vegetali possenti e millenari.

Polmone verde

«Ogni albero monumentale che vediamo è un pezzo di storia vivente del nostro pianeta che parla, e preservarlo è la via d’uscita dalla catastrofe del cambiamento climatico», ci spiega Alloyce, 43 anni, guida e attivista, nato e cresciuto ad Amani, sguardo fiero e determinato. È ben consapevole dell’urgenza della crisi ambientale globale e ha una missione precisa: ristabilire l’equilibrio della foresta anche fuori dai confini della riserva, poiché finora questa “frammentazione” ha minacciato diverse specie di animali.

Siamo a 340 chilometri a nord di Dar es Salaam. Qui gli alberi giganti catturano l’anidride carbonica con un tasso maggiore rispetto ad altre zone: su un totale di 2,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica assorbite a livello globale, 1,4 miliardi vengono rimosse proprio dalle foreste tropicali. «Le foreste africane sono in tal senso i nostri più grandi alleati, ed è qui che inizia la lotta ai cambiamenti climatici!», ripete instancabilmente Alloyce. Solo Amani ospita oltre 100 specie di alberi possenti che raggiungono altezze vertiginose, fino a 50 metri, e stanno lì da sempre, indiscussi re, circondati da 19 villaggi abitati. Le specie verdi autoctone sono tutelate dal 1997, quando è nata la Amani Nature Reserve che ha messo fine allo sfruttamento dell’area da parte delle compagnie straniere. L’intento era quello di conservare la ricca biodiversità di una parte dell’Eastern Arc Mountains: secondo il “National Forest Programme” queste foreste sono andate in fumo a un ritmo di cinquecentomila ettari annui tra il 1971 e il 1999. Poi, per fortuna, un’inversione di tendenza. Preservarle però oggi non basta più, serve piantare nuovi alberi. Con criterio e metodo scientifico. 

Solo specie locali

Ma in che modo? Alloyce e suo fratello Viktor lavorano con alcuni biologi di fama internazionale: hanno imparato moltissimo sul campo, raccogliendo semi e partecipando ai progetti di riforestazione, tanto che nel 2020 hanno fondato una loro onlus, “Friends of Amani Nature”. Lo scopo è piantare alberi nelle zone dove la foresta è stata «disturbata» (così dicono) ed educare le nuove generazioni ad apprezzarla. Per mettere a punto l’ambizioso sogno – divenuto realtà – è stato fondamentale il contributo del botanico Harry Ndangalasi dell’Università di Dar es Salaam, che ha condiviso con gli attivisti il suo metodo di selezione dei semi e di crescita delle piantine nei vivai. Ma, soprattutto, a fare da apripista e da matrice all’idea dei fratelli Mkongewa è un doppio progetto internazionale (tuttora in corso) coadiuvato da Andrea Bianchi, giovane scienziato italiano.

Bianchi, col quale Alloyce collabora come assistente e raccoglitore di semi in foresta, è un botanico tropicale piacentino di 27 anni, che in Africa ha lavorato tramite il Muse, il Museo delle Scienze di Trento. Oggi è a capo della parte botanica di due progetti di piantumazione preziosi in Tanzania: il primo sui monti Uzungwa, gestito da una ditta locale, e l’altro sulle montagne Nguru, realizzato dalla ong californiana Pams Foundation. «Pams si è sempre molto battuta contro il bracconaggio dell’avorio», ci spiega Bianchi dalla sua postazione in foresta.

«Contadini di foresta»

«Uno dei nostri principi inderogabili è piantare alberi dove sono stati tagliati per via di una deforestazione selvaggia», spiega il botanico. «Non interveniamo, per esempio, sulle praterie, che sono habitat naturali ricchissimi, ancora più antichi delle foreste (raggiungono i 50 milioni di anni!). Inoltre piantiamo solo specie autoctone: negli ultimi dieci anni praterie e foreste sono state infestate di pini ed eucalipti invasivi che annullano la biodiversità!». «Ecco», insiste Andrea Bianchi, «noi non lo faremmo mai, perché utilizziamo solo specie locali antiche».

Lo scopo di entrambi i progetti da lui guidati è sia ambientale che sociale: si tratta di migliorare le condizioni economiche delle comunità locali che vi partecipano, ripristinando nel contempo la copertura forestale dei paradisi terrestri. «L’ambizione è trasformare i contadini coltivatori di fagioli in contadini di foresta», ci spiega il botanico. Il progetto prevede in effetti non di acquistare la terra di proprietà dei contadini ma di affittarla per un periodo di almeno trent’anni, per far sentire le comunità parte integrante del progetto. «Non vogliamo arrivare dall’Europa e imporre qualcosa dall’alto», dice Bianchi, «vogliamo un progetto condiviso. Assumiamo le persone per lavorare nei vivai: abbiamo messo in piedi grosse nursery dove coltiviamo un milione di specie locali di piantine che verranno messe a dimora dai proprietari stessi».

In cerca di semi antichi

La parte più bella di tutta l’attività è la ricerca dei semi antichi: «Le popolazioni da noi formate riescono già in un anno a raccogliere svariati milioni di semi, e Alloyce Mkongewe è uno di loro», dice ancora Bianchi. «La riserva di Amani ci dà il permesso di raccogliere semi nelle zone periferiche per andare a piantumarli altrove».

Ma come si trovano i semi? «Nel 2019 per la mia tesi di laurea in collaborazione con National Geographic avevo passato sei mesi in foresta», ricorda il botanico piacentino, «e mi ero fatto una buona conoscenza di queste specie; inoltre, quando vado sono sempre accompagnato da ex bracconieri “convertiti” che vivono nelle foreste, e con loro andiamo alla ricerca di specie in frutto». Al termine dei trent’anni di affitto e di progetto i contadini diventeranno proprietari di 1.111 alberi e avranno anche la possibilità di usarne il legno in maniera sostenibile e contingentata: possono disporre del 3% del totale ogni anno e dunque vendere il legname ricavato. «Trattandosi di specie pregiate è una quantità di denaro importante!», dice Bianchi. Per l’ecosistema locale e globale questi progetti hanno un’importanza incredibile: «Un ettaro di foresta matura possiede tra i 300 e i 500 alberi, noi ne piantiamo più del doppio. Ciò permette di simulare le dinamiche climatiche di crescita e allo stesso tempo consente una raccolta mirata senza intaccare la foresta».

L’iniziativa va a raddoppiare la superficie forestale e «permetterà il ritorno di animali scomparsi da queste zone, dagli elefanti ai leopardi».

Questo articolo è uscito sul numero 3/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop.

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