Sudafrica – Ramaphosa giura e fa promesse

di AFRICA

«È iniziata una nuova era per il nostro Paese»: è quanto ha detto il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa prestando giuramento ieri a Pretoria dopo le elezioni dell’8 maggio scorso, vinte nuovamente dall’African National Congress (Anc). «Con l’indiscutibile potere del voto dell’8 maggio, i sudafricani hanno dichiarato l’alba di una nuova era. Hanno scelto la speranza contro la disperazione, hanno optato per l’unità rispetto a conflitto e divisioni», ha rimarcato Ramaphosa davanti a circa 32.000 persone e ospiti tra cui figuravano i presidenti dello Zimbabwe, del Congo e del Mozambico. Cyril Ramaphosa ha giurato come sesto capo dello Stato democraticamente eletto del Sudafrica, promettendo di creare posti di lavoro (nel Paese la disoccupazione si attesta al 27%) e combattere la corruzione.

«Nonostante i nostri importanti sforzi, molti sudafricani vanno ancora a letto affamati, molti soccombono a malattie curabili, molti vivono con carenze intollerabili. Troppi non lavorano, soprattutto i giovani. Di recente, la nostra gente ha visto che alcune persone in cui avevano riposto la loro fiducia avevano ceduto alla tentazione del potere e della ricchezza», ha infatti affermato il capo dello Stato.

«Oggi la nostra nazione entra in una nuova era di speranza e rinnovamento –, ha aggiunto Ramaphosa –. Creiamo un patto per la crescita e le opportunità economiche. Un patto di uno Stato efficiente, capace ed etico. Uno Stato che sia libero dalla corruzione», ha poi continuato.

«Vi prometto che vi servirò, lavorerò con voi, fianco a fianco, per costruire il Sudafrica che tutti noi vogliamo e meritiamo. Una nuova era è nata nel nostro Paese», ha concluso Ramaphosa, rimarcando nella Giornata dell’Africa che«”il nostro progresso dipende e non può essere separato da quello del nostro amato continente».

La cerimonia di ieri è stato l’ultimo atto del processo elettorale iniziato con le votazioni generali di inizio mese e proseguito con il giuramento e l’insediamento dei due rami del Parlamento (l’Assemblea nazionale e il Consiglio nazionale delle province), avvenuto mercoledì. Come ricordato dall’Agenzia Nova, a differenza di quanto avviene in altre ex colonie e dominazioni britanniche che hanno adottato un sistema di governo parlamentare, il presidente del Sudafrica ricopre contemporaneamente i poteri sia di capo dello Stato sia di capo del governo, oltre che di comandante in capo delle forze armate. Contrariamente ai sistemi presidenziali classici, inoltre, l’elezione del presidente in Sudafrica avviene in Parlamento e non per via popolare, il che rende il capo dello Stato sudafricano una figura capace di influenzare la legislatura nella sua veste di leader del partito di maggioranza.

Alle elezioni dell’8 maggio il Congresso nazionale africano (Anc), il partito al potere dal 1984, ha conquistato il 57,5% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi (230), facendo tuttavia registrare il suo peggior risultato dalla fine dell’apartheid, perdendone ben 19 rispetto alle elezioni del 2014. Al secondo posto si è classificata l’Alleanza democratica (Da), che si è confermata il secondo partito con il 20,8% (84 seggi, cinque in meno rispetto al 2014), seguita dai Combattenti per la libertà economica (Eff) che hanno ottenuto il 10,8% (44 seggi, ben 19 in più delle precedenti elezioni). Il tasso di affluenza alle urne è stato invece pari al 66% (17,6 milioni).

Se, da un lato, il risultato ottenuto dall’Anc è sufficiente ad assicurare un mandato per i prossimi cinque anni al presidente Ramaphosa, dall’altro la percentuale non gli consente di dormire sonni tranquilli, soprattutto a causa delle lacerazioni interne che attraversano il partito, già scosso dagli scandali che hanno segnato la presidenza di Jacob Zuma.

Benché abbia promesso di introdurre importanti riforme economiche e di rafforzare la lotta alla corruzione, diversi analisti e addetti ai lavori hanno molti dubbi che riuscirà a farlo realmente, vista la sua tenue presa sugli organi decisionali del partito, dove i conflitti intestini fra ex compagni di lotta contro il regime dell’apartheid si moltiplicano di giorno in giorno.

La principale sfida per Ramaphosa sarà quindi rappresentata dall’opposizione interna al partito, composta da molti esponenti intransigenti che si oppongono all’agenda riformista del capo dello Stato. Finora il presidente è stato costretto a scendere a compromessi in settori politici chiave come la riforma agraria e il salvataggio della compagnia statale di distribuzione dell’energia elettrica Eskom, a rischio fallimento.

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