Sud Sudan: conflitti intercomunitari, un’analisi

di Valentina Milani
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Il Sud Sudan sta vivendo un’impennata nella violenza intercomunitaria sulla scia dell’accordo di pace firmato nel 2018. E’ quanto viene messo in luce dal recente rapporto di Armed conflict location and event data project (Acled) intitolato Surface Tension.

Il conflitto e l’insicurezza nel Sud Sudan “sono ancora una volta a livelli che sarebbero tipicamente associati alla guerra civile, e indicherebbero che un sostanziale collasso dell’autorità statale è in corso” secondo Acled. Eppure – sottolinea l’organizzazione – il governo di Juba resiste e l’accordo politico che tiene insieme le varie fazioni militari, di sicurezza e ribelli dal 2018 ha tenuto per lo più durante questa impennata di violenza.

Ognuno dei numerosi conflitti intercomunitari è complesso di per sé, e in alcuni casi ha una relazione complicata con gli sviluppi politici tra le fazioni elitarie contendenti del Sud Sudan, si legge nel rapporto. Ci sono molte questioni in sospeso dalla recente guerra civile, con rivalità durature tra i firmatari dell’accordo di pace del 2018, il Revitalized agreement on the resolution of the conflict in South Sudan (R-Arcss) e soprattutto al loro interno.

Secondo Acled “gli accordi di pace nel Sud Sudan hanno tipicamente riorganizzato il potere piuttosto che cambiare il modo in cui funziona, e riflettono le priorità delle élite militari del Sud Sudan insieme ai vicini e ai partner esterni del Paese, ignorando per lo più quelle della sua popolazione civile”. Nel caso del R-Arcss, la riorganizzazione del potere è stata per lo più cosmetica, con i “gruppi ribelli e i partiti politici che hanno firmato gli accordi che hanno preso posto in un governo di condivisione del potere gonfiato”, nota Acled. All’interno di questo governo allargato, il potere effettivo rimane concentrato nella “cricca” intorno alla presidenza e in poche élite militari e di sicurezza ben collegate.

Questa riorganizzazione del potere ha comunque creato risentimenti tra i comandanti che si sentono minacciati dai cambiamenti che i loro leader stanno facendo, e che in alcuni casi sono preoccupati dal disprezzo mostrato verso le comunità che rappresentano da questi stessi leader. I pesi massimi militari all’interno dei gruppi ribelli che hanno firmato l’accordo sono sempre più scontenti dei lenti progressi nell’attuazione delle disposizioni dell’accordo secondo il documento. Nel report viene messo in luce come particolare malcontento sia registrato in particolare all’interno del Sudan people’s liberation movement – In Opposition (Splm – Io), il più grande dei gruppi ribelli del Sud Sudan.

Acled ricorda, a tal proposito, che la disputa di lunga data tra il leader del Splm-Io, Riek Machar, e il suo ex capo di stato maggiore, il generale Simon Gatwech Dual, è sfociata il 9 agosto in gravi combattimenti nella zona di Meganis nello stato dell’Alto Nilo.

L’analisi di Acled sostiene quindi che sia necessaria una rivalutazione del conflitto “comunitario” per comprendere più accuratamente la relazione tra tale violenza e le strutture politiche e militari del Sud Sudan. “Il linguaggio della violenza ‘comunitaria’ ha oscurato più di quanto riveli” si legge nel rapporto nel quale Acled sostiene che “identificare i diversi filoni di violenza che vi sono sussunti aiuta a spiegare le connessioni e i punti di partenza tra questa violenza e gli scismi a livello nazionale e l’attività delle élite”. Vengono così identificate tre sottocategorie: attacchi di vendetta ‘etnicizzati’, contese di autorità subnazionali e guerre per procura delle élite.

Queste forme di violenza hanno dinamiche distinte secondo Acled: alcune sono strettamente legate alle fazioni politiche e militari del Sud Sudan, mentre altre sono più distanti da queste fazioni e/o più vicine alle forze sociali e alle strutture che “non sono state catturate dallo Stato”.

L’analisi di Acled si chiede anche se l’aumento dei conflitti subnazionali possa essere collegato ai cambiamenti nell’economia politica del Sud Sudan, e in particolare alla ‘decarbonizzazione’ del Paese che è ora in corso. “In mezzo alle complesse e talvolta idiosincratiche dinamiche conflittuali, è possibile distinguere una direzione generale che indica che il potere delle élite viene trasferito (spesso violentemente) da Juba alle periferie”, si legge. Questo rappresenta una sorta di inversione secondo Acled rispetto alla maggior parte delle traiettorie delle élite prima della recente guerra civile, in cui le élite hanno cercato di accedere alla ricchezza del petrolio e al potere concentrato nella capitale. Molte élite hanno rivisto le loro ambizioni verso il basso, e sembrano concentrare le loro attività nelle loro aree di origine, si nota nel rapporto.

Alla base di questo processo – emerge nel documento – c’è un imperativo per le élite sud sudanesi di cercare fonti alternative di ricchezza (e quindi di potere), dato che le entrate del petrolio continuano a diminuire. La diminuzione delle entrate petrolifere ha lasciato un numero crescente di élite militari in competizione per un numero simile di posizioni di alto livello nelle burocrazie statali e militari, con queste istituzioni che non sono più in grado di sostenere finanziariamente tutte queste élite. Questo processo è facilitato dalla contrazione dello Stato in un numero minore di parti del Paese, poiché il regime sembra sempre più disinteressato a governare aree rurali ostili di limitata importanza strategica o economica.

Secondo Acled questo può avere conseguenze a lungo termine per la distribuzione geografica del potere nel Sud Sudan, e accelerare i cambiamenti nelle relazioni tra le capitali provinciali e Juba. A breve termine, ci sono tutte le indicazioni che questo si tradurrà – secondo l’organizzazione – in una continua violenza subnazionale, che probabilmente si raggrupperà intorno ai siti di competizione delle élite per l’accesso alla ricchezza non petrolifera (sotto forma di terra, commercio e scambi transfrontalieri, e risorse naturali più facilmente estraibili) e alle aree in cui ci si può aspettare che le élite si aggrappino a fonti decadenti di ricchezza petrolifera. 

(Valentina Giulia Milani)

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