Sierra Leone: l’arte come spunto per parlare della violenza di genere

di Valentina Milani

Aisha Fofana Ibrahim, assistente del vice rettore al Fourah Bay College dell’Università della Sierra Leone, insieme con due dottorande, ha condotto una ricerca sul campo utilizzando il teatro, la danza e altre arti performative come esche per avviare una riflessione sulla violenza di genere nelle comunità, un problema molto sentito e diffuso nel Paese. In base ai dati più recenti – l’indagine demografica del 2019 – risulta infatti che il 62% delle donne della Sierra Leone di età compresa tra 15 e 49 anni ha subito violenza fisica o sessuale.

L’esperimento ha portato a risultati considerevoli, perché molte persone – restie in altre condizioni a parlare delle proprie esperienze o ad affrontare argomenti considerati troppo personali e riservati – hanno raccolto volentieri lo spunto offerto dalla performance per partecipare a una riflessione comune.
La ricerca, hanno spiegato Fofana Ibrahim e le altre co-autrici, Helen Shut e Laura S. Martin, in una sintesi prodotta per The Conversation, nasce dall’esigenza di fare un bilancio su quanto accaduto nel Paese dopo la dichiarazione di stato di emergenza per violenza sessuale risalente a febbraio del 2019. La dichiarazione aveva fatto seguito a una protesta legata a un’ondata di aggressioni sessuali ai danni di persone minori in un caso su tre.

“Lo stato di emergenza ha portato a significativi emendamenti legali”, osservano le autrici. “La pena minima per stupro è stata aumentata da cinque a 15 anni per gli adulti. Nuove disposizioni criminalizzano anche gli accordi extragiudiziali informali per violenza sessuale e stupro”.
L’enfasi posta sugli stupri ha però avuto un effetto collaterale negativo: ha distolto l’attenzione da altre forme di violenza di genere, come quelle perpetrate all’interno dei matrimoni, meno clamorose ma probabilmente più pervasive. “La violenza quotidiana all’interno del matrimonio è diffusa ma riceve meno attenzione nella legislazione e nel discorso politico”, rilevano le tre studiose. “Le donne sono anche piuttosto riluttanti a discutere di violenza nei propri matrimoni per una serie di ragioni sociali e culturali”.

Il progetto di ricerca di Fofana Ibrahim, Shut e Martin ha cercato di esaminare come i diversi mezzi di arti dello spettacolo possono aprire discussioni su questa delicata questione. “Dal momento che varie tecniche di arti dello spettacolo sono state a lungo utilizzate per mobilitare la trasformazione sociale, abbiamo pensato che questo potesse servire per avviare conversazioni anche sulla violenza di genere”. Procedendo nella ricerca, che si è svolta in tre comunità nel distretto di Bombali, nel nord della Sierra Leonee, le studiose hanno potuto verificare che le donne erano molto più attive nelle discussioni sulla violenza quando queste erano collegate a una performance. “Questo approccio ci ha anche aiutato a conoscere le esperienze quotidiane delle donne e i diversi modi in cui sentono e affrontano il dolore fisico ed emotivo in queste comunità”.

Sono state organizzate esibizioni e dopo ogni esibizione, condotte discussioni mirate con piccoli gruppi di uomini e donne tra il pubblico. “Le conversazioni innescate dalle esibizioni hanno confermato che temi come la violenza domestica, l’infedeltà, l’abbandono e la poligamia erano tutti riconoscibili e prevalenti nelle comunità”, hanno detto. “Sia gli uomini che le donne hanno parlato di mancanza di comunicazione nel matrimonio, tensioni per problemi finanziari o insoddisfazione sessuale. Questi alla fine hanno portato all’infedeltà e alla violenza”.
Il tipo di performance scelta (teatro, danza, canto…) ha influenzato il contenuto delle conversazioni. Se la commedia e il dramma interattivo hanno offerto in generale un modo divertente e coinvolgente di riflettere sulle situazioni esperenziali, le canzoni hanno fornito un accesso più immediato a emozioni profondamente sentite derivanti dall’esperienza personale. 

(Stefania Ragusa)

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