Salviamo le mangrovie che ci salvano

di claudia
mangrovie

di Irene Fornasiero – foto di Luca Locatelli e Raphaël Fournier

150 milioni di alberi piantati in quindici anni: così il Senegal preserva le sue coste dalla devastazione. Il Paese è protagonista di una delle più grandi opere di riforestazione mai tentate nel continente africano. Obiettivo: ripopolare il litorale di mangrovie, le quali assorbono CO2, proteggono le coste, combattono l’erosione e sono fondamentali contro la crisi climatica.

È la più colossale campagna di riforestazione mai tentata in Africa. Protagoniste assolute, le mangrovie. Ne esistono almeno 80 specie, tutte accomunate da una caratteristica: vivere sospese tra terra e mare. Hanno rami contorti e radici aeree che affondano nei litorali bassi, regolarmente sommersi dall’alta marea, da cui attingono le risorse nutritive.

Costituiscono una barriera naturale alla forza erosiva del mare (sono in grado di assorbire il 75% dell’energia di un’onda che s’infrange sulla costa) e rappresentano uno degli ecosistemi di maggiore importanza sul pianeta, habitat di svariate specie di pesci, crostacei, molluschi, insetti, anfibi, rettili e uccelli.

Foreste sparite

Le mangrovie si trovano nelle zone umide costiere della fascia tropicale, a ridosso di fiumi, laghi, paludi, lagune. Sono ambienti ricchissimi di biodiversità: ospitano il 40% delle specie animali del mondo e forniscono cibo a tre miliardi e mezzo di persone. Essendo poi territori di transizione tra il mare e la terra hanno anche una funzione di regolazione delle acque. In occasione di alluvioni o mareggiate, per esempio, raccolgono i sedimenti e, come fossero spugne, permettono all’acqua di penetrare lentamente nel suolo, restituendola progressivamente durante l’anno, soprattutto nei periodi di siccità che oggi si alternano con sempre maggior frequenza alle alluvioni.

In Senegal le mangrovie crescono spontaneamente nelle regioni meridionali del Sine Saloum e della Casamance. Un tempo qui prosperavano vaste foreste che si dipanavano per decine di chilometri. Grazie alle mangrovie le comunità costiere hanno creato un’economia basata sulla pesca – soprattutto gamberetti, granchi e ostriche –,la raccolta del sale e le coltivazioni nei campi vicini, protetti proprio dal fitto groviglio di rami e radici.

Negli ultimi cinquant’anni, è scomparso il 40% della superficie occupata dalle mangrovie. Colpa dell’uomo, che ha tagliato senza freni le piante per farne legna da ardere o conquistare terreni da coltivare o, ancora, per costruire strade. Gli effetti della devastazione non hanno tardato a farsi sentire. Il litorale, spogliato della sua muraglia verde, ha subito l’erosione dell’Atlantico (oltretutto, la forza distruttiva dell’oceano, associata a tempeste tropicali, è cresciuta con il crescere delle temperature e l’innalzarsi del livello delle acque). I campi sono stati invasi dal sale. L’habitat marino si è impoverito e con esso l’economia domestica delle popolazioni locali. A migliaia sono stati costretti ad abbandonare i villaggi.

Ambientalista visionario

A questo punto Haïdar El Ali, ecologista, ex ministro dell’Ambiente del Senegal, ha deciso di agire. «Non potevo assistere inerme alla distruzione dell’ambiente e allo spopolamento di intere comunità», racconta. «Per fermare l’emorragia dei giovani, tentati dall’avventura migratoria, era urgente intervenire in questi fragili territori».

Nel 2007 El Ali ha fondato l’organizzazione non profit Oceanium, con cui ha avviato un ambizioso progetto di riqualificazione ambientale basato sulla piantumazione di mangrovie e il ripopolamento di centinaia di ettari di zone costiere. In 15 anni ha messo a dimora 155 milioni di alberi tra il delta del fiume Sine Saloum e i bolongs (bracci di fiume invasi da acque salmastre) della Casamance. Sono stati rimboschiti quindicimila ettari. A cui se ne sommeranno, quest’anno, altri 200 ricoperti di avicennia, una specie di mangrovia più resistente alla salsedine. «Certo non ho fatto tutto da solo», si schermisce Haïdar El Ali. «Sono state coinvolte nelle attività oltre centomila persone… Le comunità di 455 villaggi non hanno subìto il progetto, ma sono state coinvolte, dopo essere state sensibilizzate sulla necessità di preservare queste sentinelle naturali».

Segno di speranza

Le mangrovie sono una benedizione, non solo per il Senegal ma per l’intero pianeta, poiché assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera e la conservano per secoli nel terreno acquifero. Studi recenti hanno dimostrato che queste selve umide sono in grado di trattenere la CO2 fino a dieci volte di più delle foreste terrestri. Purtroppo la pressione demografica e la cementificazione delle coste stanno riducendo l’habitat delle mangrovie. «Stanno scomparendo a ritmi paurosi: più che non le foreste pluviali tropicali», lancia l’allarme l’ong Conservation International, che argomenta: «Quando una foresta di mangrovia viene distrutta, rilascia nell’atmosfera l’anidride carbonica che ha conservato per secoli, diventando fonte di gas serra. Si stima che ben un miliardo di tonnellate di CO2 venga emesso ogni anno dagli ecosistemi costieri degradati, l’equivalente delle emissioni di automobili, autobus, aerei e barche registrate lo scorso anno negli Stati Uniti».

Ora, dal Senegal, grazie all’impegno di Haïdar El Ali, giunge un segno di speranza. «Salvare le mangrovie è diventata la mia missione», sorride l’ex ministro, convinto che serva un’azione sempre più partecipata, cosciente e globale per preservare il patrimonio verde del Senegal.

La mano dell’uomo

Tra le regioni salmastre del Sine Saloum e la capitale senegalese Dakar, il fotografo del National Geographic e per due volte vincitore del World Press Photo nella categoria “Environment” Luca Locatelli e il reporter Raffaele Panizza hanno raccontato la battaglia per proteggere le coste, in un Paese che ha perduto il 50% delle sue foreste in cinquant’anni. Il loro reportage (tratto dal progetto My Earth Is Beating, prodotto grazie a LuisaViaRoma e Lvr Sustainable), di cui pubblichiamo in queste pagine alcune foto, non mostra però solo scenari preoccupanti. Mette in luce anche soluzioni messe in atto da ong locali come la citata Oceanium, e come Ecozone e To.org. «Col milione di mangrovie che entro la fine del 2022 sono state piantate anche grazie al supporto di “Extreme E”, il totale arriva a 155 milioni di piante reintrodotte nel loro habitat millenario: una delle più grandi opere di ricostruzione ambientale mai tentate nel continente africano», spiega a Panizza il direttore scientifico di Oceanium, Octavio Fleury, che parallelamente porta avanti nuovi progetti nella Casamance.

«La mangrovia, per anni sottovalutata, è un vero e proprio ecosistema, quasi un essere vivente, un baluardo ecologico e antropologico capace di catturare la CO2 responsabile del surriscaldamento globale e sigillarla nella propria biomassa e nel suolo. Inoltre cattura le microplastiche presenti nell’acqua impedendo loro di entrare nella catena alimentare. Non ultimo, può filtrare il sale delle acque oceaniche, proteggendo le coltivazioni antistanti», sottolinea Carlos Duarte, docente della King Abdullah University of Science and Technology e coordinatore dei progetti ecologici attivati da “Extreme E”. «Un progetto che ha già messo in moto un’economia circolare ricca di ricadute e interconnessioni», puntualizza Locatelli.

A Joal, per esempio, sono state avviate attività di apicoltura e ostricoltura. «Grazie ai fiori di mangrovia si produce un miele bruno che dà lavoro a molte donne, e la legna non viene più tagliata», commenta Panizza. «Sulle radici aeree delle piante crescono molluschi preziosi, e l’ecosistema per la prima volta viene protetto dai suoi stessi abitanti. Inoltre i semi di mangrovia, chiamati “propagoli”, vengono raccolti dai giovani e rivenduti alle ong, che a loro volta assumono manodopera per riforestare con un metodo lento e ostinato: si tratteggia una linea a fil d’acqua sulla marea bassissima, e ogni due passi viene piantato un seme a mani nude nella laguna. La mano dell’uomo, quando non strappa e non taglia, sa preparare il proprio futuro».

Questo articolo è uscito sul numero 1/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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