Quello strano destino che lega gli alpini all’Africa

di Enrico Casale
alpino in centrafrica

Destinati alle montagne, alle rocce, alla neve, gli alpini hanno nel cuore l’Africa. Sì, avete letto bene: l’Africa. Il legame tra penne nere (che domenica, per l’intera giornata, sfileranno a Milano nella loro adunata nazionale) e il continente è strettissimo. Fin dagli inizi.

Pochi sanno che il battesimo delle penne nere avvenne durante la guerra di Abissinia. Per cancellare la cocente sconfitta dell’agguato di Dogali, dove nel 1887 caddero 413 soldati italiani su 500, l’allora premier Francesco Crispi nell’inverno 1895-96 spedì in Eritrea un contingente di alpini e una batteria d’artiglieria da montagna. Dopo gli insuccessi dell’Amba Alagi e di Macallè, gli alpini vennero impiegati nella tragica battaglia di Adua in Etiopia dove, all’alba del 1º marzo 1896, nonostante l’iniziale fiducia nell’impresa, i 15mila soldati del generale Baratieri vennero travolti dagli oltre 100mila guerrieri del negus Menelik. Quando al premier Crispi venne chiesto perché volesse inviare truppe da montagna in Etiopia lui rispose: «Lo facciamo tanto per prova». Una prova che costò sangue e morte. Dei 954 alpini partiti dall’Italia sotto il comando del tenente colonnello Davide Menini, ne rimasero vivi 92 e lo stesso Menini fu decorato con la medaglia d’argento alla memoria. Il primo alpino a cui venne assegnata la medaglia d’oro al valor militare fu il capitano Pietro Cella, morto in quella mattina ad Adua.

Gli alpini tornarono in Africa prima della Grande guerra. Nel 1911, con lo scoppio del conflitto italo-turco, le penne nere vennero inviate in Libia. Il 4 ottobre sbarcarono a Tobruch i primi uomini del Corpo di spedizione comandato dal tenente generale Carlo Caneva. Anche in questo caso, quella che doveva essere una facile e trionfale occupazione si rivelò una campagna complessa e male organizzata. Le truppe turche (circa cinquemila uomini in Tripolitania e tremila in Cirenaica) diedero vita a una consistente resistenza nel deserto, anche grazie all’appoggio della popolazione indigena. Dopo un periodo di allenamento alla marcia, i reparti dovettero adattarsi a combattere tra le dune contro le tribù berbere o contro i musulmani della Cirenaica o nell’entroterra tripolino. Fu in questo contesto che avvenne il fatto che coinvolse l’alpino Antonio Valsecchi di Civate (Lecco). Di stanza vicino a Derna, durante un assalto arabo-turco la penna nera, ferita e senza munizioni, lanciò un macigno contro gli assalitori. Quel gesto disperato venne poi immortalato nel monumento al 5° Reggimento alpini a Milano.

Gli anni 1935-36 videro gli alpini ancora impegnati in Etiopia. Le penne nere della 5ª divisione “Pusteria” parteciparono alle operazioni di conquista dell’impero del negus Hailè Selassiè, combattendo sull’Amba Aradam e sull’Amba Alagi.

Durante la DSeconda guerra mondiale, le truppe alpine vennero in gran parte impiegate in Europa (salvo alcuni reparti che parteciparono alla difesa dell’Africa orientale). Con la fine della guerra e la caduta del fascismo, il rapporto tra Africa e alpini non si interruppe. Nel 1993-94, battaglioni delle Brigate Taurinense e Julia diedero vita al contingente “Albatros” schierato in Mozambico per il controllo del territorio nella fase di pacificazione del Paese. Gli alpini presidiarono per lungo tempo il corridoio di Beira, strategico asse ferroviario che collega l’Oceano Indiano allo Zimbabwe attraverso il Mozambico.

Recentemente, le penne nere sono state chiamate nella Repubblica Centrafricana. Genieri alpini del 2° Reggimento, inquadrati in Eufor Rca, la missione di stabilizzazione europea, hanno portato a termine con successo un numero notevole di progetti, spaziando dalla fortificazione della base di Eufor alla bonifica di canali d’acqua, passando per la realizzazione di infrastrutture di base.

Il legame tra alpini e Africa quindi continua. Un rapporto strano agli occhi di molti, ma che affonda le radici nella storia.

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