La “Pasqua” dei senegalesi… in Italia

di AFRICA
Prima che scoppiasse la Pandemia, in concomitanza con le festività pasquali, migliaia di immigrati senegalesi provenienti da ogni parte d’Europa si radunavano in provincia di Treviso per la più solenne ricorrenza della confraternita islamica Tijaniyya. Non potevamo mancare a un evento così importante… Il nostro racconto dell’ultimo raduno – oggi vietato dai lockdown e dalle disposizioni anti-contagio

testo di Simona Cella foto di Simone Sapia

Da più di vent’anni, durante il week-end di Pasqua, i discepoli della confraternita sufi senegalese della Tijaniyya emigrati in Italia ed Europa si danno appuntamento in Veneto per celebrare il Gamou, grande evento religioso in onore di Serigne Babacar Sy (1885-1957), uomo di grande saggezza e mistico insigne. Un appuntamento importante per la diaspora senegalese, che celebra anche la nascita del Profeta Muhammad e per un giorno e una notte sovrappone Tivaouane, capitale spirituale, in Senegal, della Tijaniyya, a Conegliano, cittadina del Veneto profondo, generando un cortocircuito geografico assolutamente spiazzante. Una cartografia immaginaria che porta in primo piano una delle confraternite più importanti del Senegal, ben integrata sul territorio italiano e allo stesso tempo fortemente connessa con il proprio Paese d’origine.

Welfare parallelo

Per comprendere l’importanza della Tijaniyya bisogna considerare il ruolo che le confraternite islamiche (Qadiriyya, Mouridiyya, Layennes, oltre alla Tijaniyya) ricoprono nell’organizzazione politica, sociale e religiosa del Senegal. Fin dal periodo coloniale, esse hanno avuto una posizione cruciale nell’intermediazione tra cittadino e Stato, tanto che alcuni studiosi ritengono che la società wolof sia strutturata in una relazione triangolare tra un’élite occidentalizzata e francofona, la leadership religiosa (i “marabutti” o serigne) e il resto della popolazione, formata da cittadini-discepoli. Il peso delle confraternite all’interno degli equilibri politici e sociali è così forte che a volte risulta difficile stabilire un confine netto tra il loro potere e quello del sistema politico. Un vero e proprio Stato nello Stato che catalizza inquietudini e umori popolari, offrendo una chiave di lettura privilegiata soprattutto delle dinamiche urbane contemporanee.

La Tijaniyya, considerata da molti un ramo senegalese del sufismo orientale, promuove la nonviolenza, la solidarietà e la pace tra i popoli e le religioni. Cellula essenziale della confraternita è la dahira, organizzazione che, pur avendo come obiettivo principale lo studio della religione e degli insegnamenti dei grandi maestri, struttura uno spazio socioculturale di solidarietà. All’estero, le dahira sono oasi di sicurezza che permettono ai seguaci di superare il primo impatto con la nuova realtà e agiscono come una sorta di welfare state parallelo, garantendo mutuo soccorso e rete sociale sul territorio di emigrazione pur mantenendo, tramite un continuo flusso di informazioni, denaro e merci, un forte legame con il Senegal.

In viaggio con il Corano

In Italia questo flusso confluisce e trova uno spazio di espressione privilegiata proprio durante il Gamou di Conegliano. Abbiamo seguito questo flusso accompagnati da alcuni componenti di una dahira milanese, abbiamo intrapreso durante i week-end pasquali degli ultimi due anni un affascinante on the road a metà tra pellegrinaggio e socialità. Partendo da Milano, l’appuntamento è a Dergano, dove già in tarda mattinata arrivano i componenti delle dahira, carichi di vestiti e cibo. Cassette di mele, bibite e panini trovano spazio nei bagagliai mentre gli organizzatori ritirano i soldi e distribuiscono i biglietti. Nell’attesa della partenza, amici e famigliari si salutano, qualcuno prega, ritagliandosi uno spazio nel retro di una stazione di servizio. Il viaggio è lungo e, già in pullman, un uomo intona i primi canti. Qualcuno prega, con il Corano in mano.

A metà percorso è tempo di una pausa in autogrill, e nel grande parcheggio, sotto lo sguardo curioso degli altri viaggiatori, viene distribuito il pranzo, tra chiacchiere, foto ricordo e, ancora, preghiere. È già buio quando si arriva a destinazione. I pullman si svuotano e la gente riempie piano piano il palazzetto dello sport, che accoglie fino a settemila fedeli.

Festa di colori

Le case dei senegalesi della zona si aprono per accogliere parenti e amici, offrire cibo e un posto dove cambiarsi. Le stanze riservate alle donne sembrano dei camerini, per la quantità di trucchi e vestiti. Il rituale della vestizione e del trucco è lungo e nessuno sembra avere troppo fretta. Nel frattempo, sul palco del palazzetto, suddiviso in un settore maschile e uno femminile, e addobbato con striscioni in arabo e italiano con citazioni del Corano, personalità religiose e politiche alternano canti e preghiere a fitti discorsi in wolof. Gli adulti ascoltano, quasi immobili. Le donne, sedute o sdraiate, accolgono i bimbi addormentati. Ogni tanto qualcuna si alza e intona un canto. L’onda si propaga nel settore femminile per essere riassorbita subito dopo.

I bambini dormono o giocano e i giovani chiacchierano fuori dall’edificio. Uno sguardo attento rivela la varietà e ricchezza dell’abbigliamento e degli accessori. Tuniche, zucchetti, babbucce per gli uomini. Vestiti scintillanti, foulard, scarpe, borse, trucchi e bigiotterie per le donne. Moda urbana e stile rap, skaters per gli adolescenti. I cellulari e i tablet fotografano, riprendono, registrano. Ricordi che verranno condivisi sui social network della confraternita e delle singole dahira.

Mondo fluido

All’esterno, bancarelle o semplici teli per terra espongono vestiti, oggettistica religiosa, utensili di cucina, profumi, cosmetici, bigiotterie e sacchettini con erbe e creme naturali. È un continuo flusso di persone, canti religiosi, discorsi politici, cibo, denaro, immagini, che si sposta, si avvicina al palco, esce ed entra dall’edificio. Un sottile gioco di equilibrio tra chi ascolta, seduto, e chi si muove e intesse relazioni e affari.

Alle prime ore dell’alba, la lunga notte dei Tidjane – così si chiamano i fedeli della confraternita – è giunta al termine. Il palazzetto si svuota, i pullman e le macchine si riempiono. Termos di caffè e vassoi di bignè nel parcheggio di un autogrill addolciranno il rientro a casa.

Il flusso si è disperso. In due giorni siamo stati immersi in complesse dinamiche sociali, politiche e religiose. Abbiamo osservato rituali del viaggio, della condivisione del cibo, della vestizione, e siamo stati testimoni di un grande evento al cui interno si sono intrecciate fede religiosa, riflessione filosofica, promozione politica e costruzione di reti sociali e commerciali. Un piccolo assaggio della fluidità culturale e geografica che caratterizza la contemporaneità.

(testo di Simona Cella – foto di Simone Sapia)

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 2/2017 della Rivista Africa. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui. Per abbonarsi, approfittando delle promozioni in corso, clicca qui 

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