Le difese degli scimpanzé contro le malattie

di Marco Trovato
La pandemia di Coronavirus ha portato prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della trasmissione dei virus da animali a uomini. Gli scienziati però invitano a guardare al mondo animale – in particolare quello dei primati – anche per apprendere strategie vincenti contro il diffondersi delle malattie.

Nel mondo animale esistono diversi esempi di strategie adattative e comportamenti igienici per contrastare l’insorgenza di malattie.

Come è stato evidenziato dall’etologo Christian Lenzi nel suo saggio “I segreti dell’immunità. Tutto ciò che possiamo imparare dagli animali su igiene e controllo delle infezioni” una delle specie più complete per quel che riguarda le difese naturali sono gli scimpanzé. Per questi primati, infatti, è stata documentata l’esistenza di diversi sistemi coinvolti nella protezione da infezioni e parassiti.

L’esempio più conosciuto è sicuramente il grooming, ovvero il comportamento di rimozione di piccoli oggetti (biologici o meno) presenti nel pelo. Oltre alle dita, gli scimpanzé possono effettuare il grooming in maniera molto efficace anche tramite le labbra e i denti. Esistono essenzialmente due tipologie di questo comportamento: il self-grooming (fatto su sé stessi) e il social-grooming (fatto tra compagni). Negli scimpanzé, come in altri primati, il social-grooming svolge essenzialmente due ruoli: il primo è essenzialmente di tipo igienico, quindi la sensibile riduzione di intrusi sulla superficie corporea, mentre il secondo è di tipo relazione, ovvero il rafforzamento dei legami sociali tra i membri del gruppo.

Un esempio meno conosciuto ma altrettanto affascinante è quello dell’auto-medicazione. Quando gli scimpanzé presentano un disturbo a livello intestinale, spesso causato da un parassita, adottano un accorgimento che può essere particolarmente importante per la loro salute. Ingoiano intere foglie di Asteraceae (come Aspilia spp.), senza masticarle ma solo massaggiandole con la lingua contro le guance, traendo vantaggio sia dai principi farmacologici dei composti vegetali e sia dall’azione meccanica che insieme, con effetto sinergico, portano all’uccisione e all’espulsione del parassita.

Il social-grooming ha una finalità igienica ma contribuisce a rafforzare i rapporti tra i membri del gruppo

Uno dei momenti di maggiore vulnerabilità per gli animali di grandi dimensioni come gli scimpanzé è sicuramente il momento del sonno. In particolare, durante la notte possono essere particolarmente esposti al rischio di contrarre parassiti e malattie infettive, spesso trasmesse dalle punture di insetti (che agiscono come vettori). Per sopperire a questa problematica gli scimpanzé selezionano con cura il luogo in cui riposarsi. Infatti, tra le tantissime caratteristiche che condividiamo con queste scimmie antropomorfe, una delle più sorprendenti è l’uso del “letto”. Gli studi sul campo hanno evidenziato come gli scimpanzé scelgono attivamente la zona in cui costruirsi il letto, preferendo gli alberi stabili e con determinati elementi architettonici, oltre a specifiche qualità in termini di igiene. Molto spesso, infatti, gli scimpanzé dormono tra i rami di Cynometra alexandri, appartenente alla famiglia delle Fabaceae (la stessa dei legumi), dal momento che le foglie di questa specie arboricola posseggono proprietà repellenti contro gli insetti. Inoltre, per ridurre ulteriormente il rischio di contrarre malattie, gli scimpanzé dormono sempre in gruppo, a breve distanza l’uno dall’altro. Questa modalità permette di “diluire” la probabilità che un insetto ematofago o un parassita colpisca un determinato individuo rispetto agli altri compagni.

A questo punto viene da chiedersi: che cosa succede quando un individuo all’interno del gruppo si sente male? Christian Lenzi nel suo libro sottolinea come gli scimpanzé siano in grado di discriminare il motivo dello stato di malessere e di modulare i comportamenti collettivi di conseguenza. È stato osservato, infatti, che nel caso in cui un individuo presenti una ferita o un altro problema prettamente di tipo fisico, il gruppo tende a passare più tempo con il malcapitato, manifestando maggiori cure e attenzioni rispetto al solito. Nel caso in cui, invece, un individuo mostrasse i sintomi di un’infezione, l’atteggiamento del gruppo cambia totalmente. L’individuo infetto viene violentemente allontanato ed escluso dal gruppo, mettendolo in una sorta di “quarantena” forzata. Come testimoniato dalla primatologa britannica Jane Goodall, se questo individuo riuscisse a sopravvivere e a ristabilirsi, ci sono buone possibilità che dopo il periodo di allontanamento venga di nuovo ammesso nel gruppo.

Insomma, ancora una volta abbiamo la prova che noi esseri umani non abbiamo inventato nulla e che, in caso di epidemie, gli animali utilizzano strategie per il contenimento dei virus da molto prima e molto meglio di noi…

(Chiara Grasso)

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