Le città africane strappano il suolo al mare

di claudia

Dopo essersi allargate a dismisura verso l’entroterra molte città africane hanno indirizzato la loro crescita verso il mare, strappando terreni all’acqua. Una nuova frontiera che stravolge, modifica le coste e non è immune da impatti ambientali.

di Federico Monica

Nella laguna di Abidjan, fra Treichville e port Bouet, decine di grandi draghe aspirano sabbia dal fondale giorno e notte, i loro tubi galleggianti da oltre sei anni sono diventati parte integrante di un paesaggio talmente cambiato da essere ormai irriconoscibile. Era infatti il 2015 quando sono iniziati i lavori per realizzare l’imponente progetto di riqualificazione e ampliamento del porto che prevedono il raddoppio delle superfici di stoccaggio e scarico merci, oltre ad altre ampie aree produttive e residenziali; ma dove trovare spazi adeguati in una città cresciuta a dismisura in un territorio complesso di penisole, isole e paludi? Strappando suolo all’acqua.

Dragare i fondali per costruire banchine artificiali più ampie è uno dei metodi tradizionalmente più diffusi per ampliare le aree portuali e molti importanti scali africani negli ultimi vent’anni sono stati ampliati con questa soluzione, da Mombasa a Dar es Salaam, passando per Malabo o per Toamasina, il principale accesso al mare del Madagascar.

In alcune città però l’entità delle opere è tale da assumere una portata impressionante trasformando in maniera considerevole le linee di costa, le lagune e il rapporto fra le aree urbane e il mare. A Tema, il più grande porto del Ghana poco distante dalla capitale Accra, il nuovo terminal container da poco completato ha modificato radicalmente oltre due chilometri di costa, creando una piattaforma di quasi duecento ettari dove fino a cinque anni fa c’era l’oceano Atlantico mentre il nuovo terminal di Doraleh, a Gibuti, è addirittura costruito su un’isola artificiale collegata alla terraferma da un ponte di oltre due chilometri. (Foto di apertura)

Interventi che hanno una superficie pari a circa 400 campi da calcio, molto simile a quella che verrà sottratta alla laguna di Abidjan, trasformando radicalmente la forma della città e del territorio. La laguna a sud di Marcory, uno specchio d’acqua di oltre 5 km quadrati verrà ridotta del 40% a causa dei riempimenti per l’ampliamento portuale e per nuove aree residenziali vicino al boulevard Marseille; in molti tratti lo specchio d’acqua sarà ristretto fino a diventare un piccolo canale sufficiente per garantire il passaggio delle navi.

il progetto di espansione del porto di Abidjan in Costa d’Avorio

Ancora più impressionanti i numeri di Lagos, che nell’arco di dieci anni ha strappato all’oceano un’area di quasi 7 km quadrati (simile alla dimensione del centro storico di Venezia) su cui sorgerà il nuovo quartiere di Eko Atlantic, un’immensa zona direzionale in grado di ospitare oltre 250.000 persone, mentre pochi chilometri più a nord si prosciugano centinaia di ettari di laguna per costruire “gated communities” riservate ai nuovi ricchi come Gracefiend Island.  

Intanto il ristorante Ocean view, lungo l’ex lungomare Ahmadu Bello dovrà verosimilmente cambiare nome visto che l’Atlantico è oggi a centinaia di metri dalle sue terrazze, una fine analoga a quella del quartiere costiero di Sambisanga, a Luanda, che a causa della riprogettazione del waterfront della città nei primi anni 2000 si trova oggi a oltre un chilometro dalla linea di costa.

Dietro il fascino tecnicistico di questi interventi faraonici si nascondono paesaggi ed ecosistemi compromessi, la perdita di valore di moltissime proprietà e, cosa ben peggiore, sfratti o demolizioni forzate con migliaia di persone lasciate senza un riparo, per non parlare degli impatti considerevoli sull’ambiente.

Le attività di dragaggio e riempimento in aree portuali o antropizzate infatti generano un forte inquinamento a causa dei metalli pesanti e delle sostanze chimiche depositate sui fondali che vengono ridisperse in acqua o accumulate a terra durante il recupero. Un’eredità pesante che potrebbe contaminare suoli, acque e fauna per anni. Molti dei quartieri di lusso che sorgeranno sulle terre strappate al mare o alle lagune sono pubblicizzati da governi e imprese di costruzione come città green o smart ma, in un’epoca che impone un cambio di direzione radicale, interventi così impattanti e pesanti sul territorio difficilmente possono essere considerati sostenibili, tantomeno “intelligenti”.

(Federico Monica)

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