Itala Vivan ▸ L’altra Winnie Madikizela-Mandela

di Pier Maria Mazzola

Il ritratto di Winnie Madizikela-Mandela proposto dall’informazione in occasione della sua morte, il 2 aprile scorso, non ha reso giustizia alla verità della sua persona. O “madre”, o “spietata”. Un’esperta di cose sudafricane ci propone una lettura articolata della sua figura, a partire dal tragico contesto storico dell’apartheid.

Winnie Madizikela-Mandela è morta a Johannesburg a 81 anni. È stata una delle donne più famose che abbiano attraversato il Novecento, ma anche una delle più discusse e controverse. Idolatrata dalle folle del suo Paese – e specialmente dai giovani e dalle donne –, ha rappresentato per decenni un’icona di indomabile resistenza al razzismo e all’oppressione esercitati dal regime dell’apartheid in Sudafrica, e ha saputo interpretare lo spirito di popoli in lotta contro il colonialismo. Un ruolo, questo, che si è costruita strategicamente, usando le circostanze di una vita drammatica e per più versi tragica che si è svolta in un lungo arco di tempi difficili ed estremi. La sua vicenda si è intrecciata strettamente con quella dell’eroe principe della storia sudafricana, Nelson Mandela, segnando però percorsi e significati propri e ben distinti.

CENNI BIOGRAFICI
Nata nel 1936 in una famiglia xhosa di rango regale, Nomzamo Winifred Zanyiwe Madikizela – questo il suo nome completo – lascia il rurale e patriarcale Transkei per studiare a Johannesburg, dove nel 1956 diventa la prima africana ad esercitare la professione di assistente sociale in Sudafrica. Quando incontra Nelson Mandela, Winnie, di vent’anni più giovane di lui, è già una figura di spicco, politicamente attiva nell’African National Congress (Anc). I due si innamorano, si sposano nel 1958 e hanno due figlie, Zenane e Zindzi. Vivranno insieme pochi anni, poiché Mandela – già in libertà vigilata all’epoca del matrimonio – entra in clandestinità nel 1960, quando l’Anc è messo fuori legge, e viene nuovamente arrestato nel 1962 e di lì a poco condannato all’ergastolo nel processo di Rivonia che porta alla decapitazione della leadership dell’Anc. Uscirà dal carcere nel 1990, tenendo per mano Winnie in un delirio di folla: ma presto verranno la separazione e il divorzio. Winnie non gli sarà più accanto quando verrà eletto presidente nel 1994, né durante gli anni del suo mandato, e dopo, fino alla sua morte avvenuta nel 2013.

EDIFICATRICE DEL MITO DI MADIBA
Se i suoi interessi politici erano già chiari in gioventù, è negli anni Sessanta che Winnie si dedica sempre più intensamente alla lotta di liberazione, i cui ideali condivide sin dall’inizio con Nelson. Mentre lui scompare dalla società e diventa irraggiungibile a ogni comunicazione, la moglie assume il ruolo di tramite grazie alle visite a Robben Island che le sono raramente consentite, e diventa gradualmente portavoce di un uomo che ben presto si trasforma in un mito e un’icona internazionale di eroica resistenza. Gli storici sono concordi nel riconoscere come la funzione di Winnie risulti essenziale alla costruzione del mito di Mandela e alla sua crescita all’interno dell’Anc, sul piano politico; e al sostegno dell’uomo recluso per anni in cella d’isolamento, sul piano affettivo ed umano. La tenerezza del rapporto fra i due è anche attestata da una straziante corrispondenza.

Nella sua Soweto, Winnie tosto organizza una rete clandestina dell’Umkhonto we Sizwe – il braccio armato dell’Anc creato proprio da Mandela, e noto come MK – di cui diventa esponente. Per tutto il resto della vita Winnie si considererà un soldato e come tale si presenterà, vestendo la tuta mimetica, anche dopo la fine dell’apartheid.

Le persecuzioni del regime non si fanno attendere: irruzioni della polizia, perquisizioni, angherie di ogni sorta rendono la vita impossibile a lei e alle sue figlie nella township di Soweto, sin quando le autorità decidono di deportarla nella remota Brandfort, piccola località isolata dello Stato dell’Orange, dove è lontana da amici e parenti. Il confino durerà otto anni e sarà segnato da ripetuti arresti e lunghe detenzioni in carceri terribili, dove è soggetta non solo a minacce e pressioni di ogni genere, ma anche a torture di cui non vorrà mai raccontare i dettagli.

NELLA LOTTA, DA PROTAGONISTA
Reagisce ribellandosi, indurendosi e rafforzandosi nella militanza politica e maturando una propria linea di condotta che l’avvicina al Movimento della Black Consciousness (Bcm). Dopo che un incendio doloso le distrugge l’abitazione a Brandfort, nel 1985 decide di ristabilirsi a Soweto, cuore della resistenza urbana, in cui nel 1976 si è scatenata la rivolta dei giovani che obbligherà l’Anc ad accelerare i tempi dell’azione, sorprendendo gli stessi leader in esilio o in carcere.

Gli anni Ottanta vedono un’accelerazione dello scontro con il regime, che si trasforma in vera e propria guerra civile: se Pretoria dichiara lo stato d’emergenza sin dal 1985, la resistenza si fa sempre più combattiva e reagisce contro l’inaudita catena di repressioni, arresti, torture e assassini di Stato che provocano una escalation di vittime. È in questa fase di accesa violenza politica che Winnie Madikizela-Mandela si trasforma in una protagonista pubblicamente attiva, infiammando gli animi con discorsi incendiari e anche sostenendo la necessità di usare mezzi punitivi estremi come il collare di fuoco contro spie e traditori; e lei stessa si circonda di una squadra di giovani inquadrati in un club di calcio (il Mandela United Football Club, o Mufc), ma anche dediti a spedizioni punitive e intimidazioni contro supposti traditori e spie.

LE OMBRE E LE MACCHIE
Risalgono a questo periodo, il più aspro e sanguinoso della lunga lotta di liberazione, vari gravissimi episodi la cui responsabilità le viene imputata, e che la vedranno difendersi con duri silenzi in una serie di processi celebrati dopo la fine dell’apartheid. I capi d’imputazione includono favoreggiamento nell’uccisione del quattordicenne Stompie Seipei e del medico Abu-Baker Asvat che aveva visitato Stompie in casa Mandela – oltre a rapimento e pestaggi.

Le ombre e le macchie che segnano la vicenda di Winnie Madizikela-Mandela sono indiscutibili e non saranno da lei mai spiegate, neppure quando comparirà dinanzi alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc) istituita proprio dal suo ex marito per sanare le intollerabili ferite di un passato indicibilmente violento. I tribunali la assolveranno dall’accusa di omicidio, ma la riconosceranno corresponsabile del sequestro di Stompie, condannandola a sei anni di detenzione, poi convertiti in una multa.

Oggi, però, dinanzi alla sua ultima e definitiva uscita di scena appare umanamente preferibile, anziché giudicare, osservare le pieghe segrete di un’esistenza così tragica; e sembra storicamente necessario analizzare le premesse, le condizioni e i risultati di una vita a lungo combattuta in trincea, contro un nemico senza pietà. Tutto ciò va fatto secondo i parametri di un’analisi di genere che tenga opportunamente conto del contesto culturale in cui Winnie Madizikela-Mandela è nata e si è trovata a vivere: un contesto le cui caratteristiche sono state costantemente e irrimediabilmente estremizzate dal clima di guerra a oltranza in cui ogni cosa si è svolta.

DONNA: INDIPENDENTE E DETERMINATA
L’infanzia nel Transkei rurale si caratterizza sotto il segno di un sistema famigliare duramente patriarcale che la costringe a lasciare la scuola e lavorare in casa e nei campi sino a che non troverà in sé stessa la forza per reagire e ottenere di potersene andare a studiare a Johannesburg, la metropoli del suo tempo. Il successo scolastico conferma le sue doti di intelligenza e carattere, e le consente di professionalizzarsi in un ambiente in cui ciò non è concesso alle donne in generale, e tanto meno alle donne nere. Trova lavoro come assistente sociale al Baraganath Hospital di Johannesburg, e sceglie di esercitare la professione nel suo Paese rinunciando a una prestigiosa borsa di studio negli Stati Uniti che le viene offerta: tutte opzioni, le sue, che testimoniano una chiara volontà di ottenere indipendenza e farsi strada con le proprie forze.

A vent’anni, Winnie è una ragazza splendida, e rimarrà bellissima sino alla vecchiaia; alla bellezza accoppia una vivida intelligenza e particolari doti di comunicatività e leadership che emergeranno lungo gli anni e nel ruolo che si saprà creare all’interno della resistenza anti-apartheid.

L’incontro con Nelson, brillante avvocato di vent’anni più grande di lei, figura già carismatica del movimento di liberazione nazionale e circondato da un’aureola di prestigio, determina in lei una svolta decisiva, portandola a identificare i propri ideali sociali e politici con quelli di lui e dell’Anc. Winnie Madizikela-Mandela rimarrà sino all’ultimo una figura di primo piano del movimento pur affermando una sua linea diversa e in un certo senso esterna all’Anc, che criticherà sempre da sinistra, assumendo via via posizioni sempre radicali – come, ad esempio, la sua adesione ideologica alla Black Consciousness negli anni Ottanta, e i suoi acerbi attacchi alla presidenza Zuma in tempi recentissimi – e disegnando una figura indipendente e trasgressiva.

ALLE PRESE CON IL MASCHILISMO
Negli anni Sessanta e Settanta l’Anc non è davvero aperto alle donne, le quali non esercitano funzioni né ricoprono cariche di natura politica, e tutt’al più sono considerate come forti compagne, mogli e madri che sorreggono i guerrieri impegnati nella lotta, però mantenendo ruoli sempre rigorosamente femminili. Il maternalismo regna nella mentalità dell’epoca, e la stessa Winnie verrà incoronata come “Madre della nazione”, mentre la sua romantica storia d’amore con l’eroe Nelson la renderà attraente a un largo pubblico.

Di fatto, però, Winnie Mandela si costruisce un profilo ben diverso da quello maternalista: la sua tenace resistenza all’oppressione, la sua feroce indipendenza, la penetrazione strategica nel sistema di potere dell’Anc pur rimanendone ai margini testimoniano la sua intelligenza politica, mentre l’uso astuto del mito di Mandela al fine di esaltare e internazionalizzare il ruolo dell’eroe – operazione che conduce di conserva con la leadership dell’Anc, ma che non avrebbe avuto successo senza di lei – e, infine, la propria collocazione nel panorama pubblico come soldato anziché come angelo del focolare, rivelano una donna che capisce i limiti che le vengono imposti da una società e un partito fortemente maschilisti, e costruisce strategie per avere la meglio su tutto ciò.

Winnie Madizikela-Mandela avrà una posizione politica riconosciuta e pubblica soltanto dopo il ritorno di Nelson Mandela, quando diventerà anche membro del nuovo Parlamento e viceministro del governo Mandela. Sino ad allora i suoi ruoli pubblici, anche se prestigiosi, non sono istituzionali, dato che fonda e presiede la Ancwl, ossia la lega delle donne Anc.

Questa unica combinazione di ribelle indipendenza e astuzia strategica le verrà sempre riconosciuta dal suo pubblico adorante, composto principalmente di donne e di giovani. Più in generale, la larga popolarità di cui gode a partire dagli anni Ottanta nasce anche dalla sua capacità di interpretare i sentimenti e le passioni che muovono e commuovono le masse diseredate, grazie anche a spiccate qualità oratorie che le consentono di galvanizzare e trascinare le folle.

LA QUESTIONE DELLA VIOLENZA
Un nodo cruciale della sua vita è il rapporto con la violenza, di cui è stata a lungo e in vari modi vittima, e che ha quindi abbracciato come necessaria modalità della lotta di liberazione. Il tema della violenza politica è comune a tutto il fronte della resistenza anticolonialista di quegli anni, e l’intero arco dei movimenti sudafricani, dall’Anc al Pac ai gruppi minori, ne è stato attraversato. È proprio Nelson Mandela che a fine anni Cinquanta vince le opposizioni all’interno dell’Anc decidendo di fondare un braccio armato, l’MK, di cui egli stesso diventa il primo capo, e che negli anni successivi, e soprattutto nel decennio degli anni Ottanta, compie una serie di attentati e sabotaggi che provocano anche vittime civili. La violenza dei movimenti di resistenza appare inevitabile e necessaria dinanzi alla mostruosa macchina repressiva del regime, ed è indubitabile che essa sia entrata a far parte anche delle modalità tattiche dell’Anc, che pure era nato e si era configurato come non violento, in ciò influenzato anche dal pensiero del Mahatma Gandhi, a lungo vissuto in Sudafrica, dove aveva maturato e lanciato le sue azioni anticolonialiste e antirazziste.

Winnie Madizikela-Mandela non è quindi isolata nelle sue posizioni di adesione alla violenza: la differenza sta nel fatto che lei è una donna e per di più una figura investita del ruolo di madre della nazione, e perciò gli stereotipi convenzionali non le consentirebbero di assumere ruoli bellicosi e di associarsi a guerra e violenza, riservate agli uomini. Proprio in questa sua trasgressività estrema, tuttavia, sta la radice della forza e della popolarità di Winnie, che riveste e ricopre l’icona maternalista con una divisa militare che autorizza la sfida ribelle e l’azione guerresca. Le donne africane capiranno la sua strategia trasgressiva e l’apprezzeranno, collocandosi sempre dalla sua parte.

SOSPENDERE IL GIUDIZIO
Oggi, una rilettura e una commemorazione della vicenda di Winnie Madikizela-Mandela si astiene da giudizi sommari, e nel momento del lutto riconosce con lucida, ragionata compassione come la sua sia stata un’esistenza dolorosa e drammatica, consumata in tempi terribili e sospinta da forze avverse le cui azioni segrete forse non verranno mai chiarite sino in fondo.

 

Letture consigliate
– Shireen Hassim, “A life of refusal. Winnie Madikizela-Mandela and violence in South Africa”, in Storia delle Donne, 10, 2014, pp. 55-77.
– Winnie Madikizela-Mandela, 419 days prisoner number 1323/69, Picador, Johannesburg 2013.
– Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia, Feltrinelli, Milano 1994.
– Sheila Meintjes, “Winnie Madikizela-Mandela: tragic figure? Populist tribune? Township tough?”, in Southern Africa Report, 4, 1998, pp. 14-30.
– Anna Maria du Preez Bezdrob, Winnie Mandela: A Life, Zebra Press, Cape Town 2003.


Itala Vivan, professore ordinario alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, ha pubblicato libri e saggi nel campo degli Studi Postcoloniali e Culturali. È specialista di questioni coloniali e postcoloniali, e di letterature africane e della diaspora nera; ha analizzato le vicende dell’apartheid in Sudafrica e il trapasso nel Nuovo Sudafrica, scrivendone anche in diversi libri.  Svolge ricerca sulla funzione dei musei culturali e su vari aspetti delle letterature postcoloniali.

 

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