Il Lago Ciad come metafora dellāimportanza del corretto uso delle risorse idriche, non solo africane, ma di tutto il pianeta, anche se i Paesi occidentali non sembrano rendersene conto. Parte da qui il progetto “Diplomazia dellāacqua e cultura della sostenibilitĆ ”, il seminario tutto online organizzato sotto la guida scientifica di Emanuele Fantini del Csa (Centro piemontese di studi africani), che ha sede a Torino, in collaborazione con MAECI, CeSPI, IAI, IHE Delft Institute for water education, Hydroaid, Coopi, Incontro tra i popoli, CittĆ metropolitana di Torino. Il seminario, che si ĆØ chiuso il 13 novembre, ha proposto una settimana di dibattiti, serrati confronti tra esperti, documentari, musiche e testimonianze con lāobiettivo di fare il punto su una situazione complessa e in continuo divenire, ovvero quella che interessa appunto le regioni e le popolazioni del bacino del lago Ciad.
Stillicidio
Lāenorme riserva dāacqua si trova al limitare meridionale del deserto del Sahara ed ĆØ divisa tra Niger, Nigeria, Camerun e Ciad. La Fao ha certificato che permette la vita in loco a circa 30 milioni di persone, nonostante la dimensione del lago dai 25mila chilometri quadrati di superficie rilevati nel 1963 si sia ridotta a meno di 1,5 mila giĆ 20 anni or sono, tanto che le carte geografiche rilevano come vere zone dāacqua ormai solo due grossi invasi, uno nel territorio del Niger, a nord-ovest, e lāaltro a sud-est, in un territorio diviso tra il Ciad, non troppo lontano dalla sua capitale NāDjamena, e il Camerun, i cui confini settentrionali passano da queste parti grazie ad un corridoio che si insinua tra Ciad e Nigeria, retaggio di una cervellotica scelta di matrice coloniale. Ciò significa che il lago, che si estendeva un tempo per buona parte in Ciad (da cui il nome) ha perso in neanche mezzo secolo qualcosa come il 90 per cento delle sue risorse idriche, anche per il continuo prelievo di acqua per lāirrigazione. Ciò ha significato mettere a dura prova la sopravvivenza di pescatori e allevatori.
Ipotesi contrapposte
Per fortuna lāallarme per una situazione cosƬ devastante non ĆØ solo di oggi, se pensiamo che giĆ nel 1970 un ingegnere italiano, Marcello Vichi, aveva preparato un progetto per portare stabilmente acqua in zona facendola defluire dal fiume Congo. Un progetto troppo ambizioso che ĆØ stato però rispolverato un paio di anni fa dai cinesi di PowerChina, disposti a finanziarlo coerentemente con le loro politiche espansionistiche ormai non più sorprendenti. Non tutti i tecnici sono in ogni caso dāaccordo sulla necessitĆ di intervenire sul territorio perchĆ© lāimpoverimento del bacino ha reso fertili le terre abbandonate dallāacqua e quindi aperto la possibilitĆ alle popolazioni locali di intraprendere nuove coltivazioni. Secondo alcuni, la minor estensione del lago sarebbe da inquadrare storicamente come naturale frutto del contesto evolutivo di un territorio in cui il lago ĆØ sempre stato oggetto di fluttuazioni cicliche; altri scienziati ribattono invece trattarsi delle storture dei disastrosi cambiamenti climatici in atto che hanno prodotto una delle più grandi crisi ecologiche ed umanitarie di tutta lāAfrica, scatenando migrazioni incontrollate di popolazioni e fenomeni collaterali come il contrabbando di bestiame, eventi legati alla scarsitĆ di risorse che offrono il fianco anche allāespandersi dei terroristi jihadaisti di Boko Haram soprattutto nel nord est della Nigeria.

La cooperazione necessaria
Senza contare che le nuove terre fertili da un alto e la gigantesca riduzione dellāinvaso dallāaltra possono far scattare una migliore cooperazione tra gli Stati interessati dal fenomeno, creatori infatti di una apposita commissione, la LCBC, che si può interfacciare con lāUnione Europea, le agenzie dellāOnu e il ministero degli Esteri italiano per canalizzare razionalmente stanziamenti economici e metodi di intervento. Di questo fitto dialogo diplomatico che si sta sviluppando dĆ conto in particolare un webinar con interviste di Chiara Danese e Simone Rancati ai rappresentanti UE Francesca Di Mauro e UNECE Sonja Koeppel, nonchĆ© una tavola rotonda con i rappresentanti delle quattro nazioni africane interessate, integrata da interventi di Romano Prodi e Giuseppe Mistretta. Indispensabile per capire la complessitĆ dei problemi e non incappare in meccanismi automatici che associno le variabili ĆØ un dialogo interdisciplinare. Per questo gli organizzatori hanno aperto le porte del loro seminario a prodotti musicali, fotografie e video documentari che costruiscono una rappresentazione della realtĆ non solo affidata alla scienza e alla politica, ma anche allāimmaginazione e a tante diverse sensibilitĆ . Queste ultime potrebbero essere decisive nel trovare la via atta ad evitare conflitti inventando soluzioni impossibili da far nascere a tavolino.
Un nuovo equilibrio
Ā«ChissĆ quali storie avrebbe inventato Gianni Rodari a proposito di un lago che si espande e poi si ritraeĀ», commenta Emanuele Fantini, Ā«forse la sua fantasia sarebbe stata solleticata anche da un altro processo che negli ultimi anni ha interessato diversi fiumi in giro per il mondo: Gange e Yamuna in India, il Rio Atrato in Colombia e il Whanganui in Nuova Zelanda sono corsi dāacqua a cui Ć© stata riconosciuta la personalitĆ giuridica. Questi fiumi hanno ora diritti – e chissĆ forse anche doveri? ā simili a quelli di noi esseri umani. Ma chi rappresenta i fiumi, lāacqua e la natura nella nostra societĆ ? Chi può far valere i loro diritti di fronte ad un tribunale? E cosa succede se i diritti di un fiume entrano in conflitto con i diritti umani, se lāacqua si prende una vacanza e smette di sostenere la vita e le attivitĆ di noi esseri umani? Lāattuale crisi ambientale ci impone con urgenza di ripensare la relazione tra natura e cultura, tra acqua e societĆ , tra esseri umani e non umani. Ć necessario un grande sforzo di fantasia e di immaginazione. Ma si tratta di uno sforzo imprescindibile se, come Gianni Rodari, pensiamo che raccontare nuove storie, dare voce a rappresentazioni alternative ed immaginare un mondo migliore, piĆŗ giusto e sostenibile, sia il primo passo per trasformare quello esistenteĀ».
(testo di Mario Ghirardi – foto: courtesy Marco Gualazzini)