Kenya, grosso incendio a Malindi

di Marco Trovato

Un ampio incendio è divampato intorno alle 13.30, ora locale, nella zona del Coral Key di Malindi in Kenya. Il Key Park e altre zone attigue sono già state colpite seriamente, ed anche l’Oasis sta subendo seri danni. A darne notizia è il portale degli italiani in Kenya, malindikenya.net.

Ad essere colpite anche numerose ville di italiani residenti nella località keniana sulla costa dell’oceano Indiano. Le fiamme hanno avvolto l’Oasis village da cui potrebbe essere partito l’incendio, come dal vicino Key Park. Alcune strutture stanno crollando. L’incendio sembrerebbe partito proprio dall’Oasis Village che è seriamente danneggiato, ma anche molti cottage dell’attiguo Key Park sono andate distrutte. Il Coral Key e Harbour Key sembrano in salvo, contenuti anche i danni alle ville di fronte alla strada.
Sul luogo dell’incendio stanno intervenendo i pompieri, arrivati con un ritardo incomprensibile, circa due ore dopo dal divampare delle fiamme. Intanto è scattata la corsa dei residenti e delle altre attività locali per aiutare e portare pompe che traggano acqua dalle piscine, per salvare il salvabile ed evitare la propagazione delle fiamme da makuti a makuti, nelle ville della struttura e dei vicini complessi residenziali.

Luogo simbolo delle fughe invernali al sole equatoriale, e buen retiro per pensionati e latitanti, oggi Malindi, con le sue pizzerie, gelaterie e ville sulla spiaggia, è alle prese con una crisi inedita, frutto della decadenza della comunità italiana che in quel lembo di terra africana pensava d’aver trovato il paradiso.

Racconta il nostro corrispondente Freddie Curatolo, autore del servizio Malindi addio pubblicato sul numero 1/2021 della Rivista Africa: “I pompieri sono arrivati con due ore di colpevole ritardo. Non si segnalano episodi di vandalismo e ruberie anche perché l’arrivo della polizia, a differenza di quello dei vigili del fuoco, è stato tempestivo. Sciacallaggio invece dalla parte del mare su alcuni suppellettili nella zona della piscina, come sedie e lettini”. La comunità italiana a Malindi negli ultimi anni si è assottigliata (anche grazie al trattato di estradizione siglato cinque anni fa dai due governi) fino a consolidarsi sulle tre-quattromila unità, raggiungendo al massimo ventimila presenze di turisti nell’alta stagione, identificata con l’inverno europeo.

Se il covid-19 ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso (che peraltro era d’argilla, già indebolito dal tempo), la crisi economica italiana e le nuove tendenze del turismo avevano già tracciato la strada: i giovani si dirigono altrove, i “pacchetti vacanze” esigono ben altri servizi e il rischio “cimitero degli elefanti” tiene lontani anche gli stessi keniani e viaggiatori di altre nazionalità. Oggi, chi è rimasto continua a rappresentare come in un museo di palme e cielo basso l’universo tutto dell’italianità all’estero e l’unico stimolo alla coesione è dato dalla consapevolezza maturata in tanti anni d’Africa.

L’impressione, però, è che si stia assistendo al tramonto di una breve epopea e che Malindi, come insegna la sua storia di intrusioni, passaggi, espropri e sfruttamenti, se ne farà una ragione”.

Foto: courtesy Malindikenya

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