Il popolo del vodu

di claudia

Feticci, sacrifici di animali, sortilegi: leggende e verità sulla più fraintesa delle religioni africane. In Occidente, vodu è sinonimo di magia nera, zombie, poteri occulti malefici. Colpa di Hollywood. In realtà le cerimonie religiose che si svolgono in Togo e Benin danno senso e ordine alla vita di sessanta milioni di fedeli

di Marco Aime

L’antropologo Marco Aime terrà il 15 e 16 ottobre un seminario sul Sahel, a Roma e in streaming. Programma e iscrizioni: https://www.africarivista.it/sahel/

A sentirla pronunciare, la parola vodu, spesso vengono strani pensieri. È una parola che immediatamente evoca, alla mente dei più, bamboline e statuette su cui conficcare lunghi spilloni per colpire, dolorosamente, anche a distanza, una persona odiata. Al di là di questa falsa immagine, che troppi film hollywoodiani dell’orrore hanno contribuito ad alimentare, quale significato nasconde questo culto?

Il termine deriva dalla lingua fon, parlata nel sud del Benin, e significava “genio”, “spirito protettore”. Dalle coste del Golfo di Guinea questo antico culto ha poi attraversato l’oceano sulle navi negriere per approdare sulle coste haitiane, dove ha conosciuto uno splendore forse maggiore di quello riconosciutogli in patria.

Pur assorbendo influenze locali ed esterne che hanno provocato alcune trasformazioni, il vodu ha mantenuto le sue caratteristiche originali, e le sue radici affondano ancora oggi nel fertile terreno della tradizione culturale africana. Lo stesso è accaduto in Brasile, dove sono sorti candomblé e macumba, figli legittimi del vodu africano, così come lo sono la santería cubana e molti alti culti sincretici, nati dall’incontro con la tradizione portata dagli schiavi africani del Golfo di Guinea con culti e tradizioni locali e con il cristianesimo.

Incontri divini

Rito di possessione per eccellenza, il vodu è spesso stato spacciato come fenomeno di estasi collettiva, ma studi più recenti hanno conferito a questo culto la dignità di religione, poiché si è riconosciuta in esso una serie di elementi che ne confermano il valore teologico. Nelle società africane non ancora colonizzate, le confraternite vodu avevano un ruolo importante per la conservazione del potere locale. Esse agivano, infatti, come istituzioni assai strutturate e inserite nella realtà politica, e contribuivano a legittimare il potere delle chefferies locali. Gli adepti al culto sono consacrati a una divinità e la servono attraverso le istituzioni. I soggetti non scelgono di essere posseduti: sono scelti.

Dietro all’aspetto più spettacolare del vodu, quello che si manifesta durante le feste e le cerimonie di iniziazione, si cela infatti un solido patto tra l’uomo e gli dei, un patto basato su di un reciproco scambio: l’uomo offre preghiere e doni al dio, il quale manifesta la sua presenza e la sua protezione al fedele. Ma è stato proprio l’aspetto cerimoniale a rendere celebre il vodu e ad attirare la curiosità di tanti studiosi.

Alla base è il ritmo, il ritmo ossessivo dei tamburi che accompagnano le cerimonie. Ogni particolare battito è il nome di uno spirito, è il segno che la sua presenza è vicina e ogni partecipante deve abbandonarsi al ritmo dello spirito da cui verrà posseduto. Alla radice di questa estasi c’è una concezione locale del ritmo, percepito in funzione del movimento che esso suscita. La danza diventa quindi la via per raggiungere quello stato di quieta estasi che rappresenta l’arrivo dello spirito. Il loa, lo spirito, può arrivare sotto diverse forme: può essere Agwé, il signore dei mari simboleggiato da un pesce, oppure Ogun, dio del ferro e del fuoco, o Damballà, il dio serpente della fecondità.

Trance mistica

Chi è posseduto da uno di questi spiriti assume degli atteggiamenti che ne ripropongono i caratteri, ora dolci ora violenti a seconda del loa dominante. Il rapporto che si stabilisce tra il loa e il posseduto è stato paragonato a quello tra il cavaliere e il suo cavallo. Si dice infatti che il loa cavalca il posseduto.

Nella possessione da parte dei loa si ritrovano le tre tipiche fasi dei riti di passaggio: la separazione dallo stato originale, rappresentata dalla trance; lo stato di transizione, che si esprime nelle scene rituali durante le quali i posseduti recitano in uno stato di semincoscienza; infine la fase di riaggregazione, segnata dall’uscita dalla trance.

Nella prima fase il posseduto manifesta la sua crisi in maniera assai appariscente con gesti forsennati, urla, mentre il suo corpo viene attraversato da tremiti violenti. Una volta che il loa ha “montato il suo cavallo”, il posseduto si adegua al comportamento tipico del suo loa: assumerà atteggiamenti feroci, oppure dolci, simulerà le movenze dello spirito che è entrato in lui. Nell’ultima fase il soggetto esce dalla trance e una forte sensazione di stanchezza si impadronisce di lui facendolo cadere in un sonno profondo.

Al risveglio l’adepto farà parte della confraternita e parteciperà alla vita comunitaria, cosa che spesso, ricreando una nuova forma di socialità, contribuisce a rendere più soddisfacenti le condizioni dell’individuo. Chiarisce l’etnologo francese Marc Augé: «Ogni individuo, secondo la tradizione vodu, è “dentro” tutti gli altri. E l’antenato sopravvive solo nella discendenza. Di conseguenza, egli si preoccupa del culto che gli devono rendere i suoi successori, tormentandoli nel corpo e richiamandoli all’ordine, perché nella cultura africana c’è solo un’alternativa: vivere al plurale oppure morire soli».

Male da estirpare?

Da un po’ di tempo, membri di alcune delle infinite sette religiose che stanno proliferando in Africa girano per i villaggi acquistando, a prezzi elevatissimi, oggetti e statuette rituali utilizzati per i culti vodu. Il loro scopo è distruggerli. I sacerdoti spesso le vendono e poi continuano pacificamente a praticare i loro riti con altri oggetti più o meno nuovi, talvolta diversi da quello precedente. Il delirio iconoclasta di queste sette, al di là del ridicolo, ha individuato negli oggetti il male da estirpare. Per certi versi, in effetti, si potrebbe dire che è la materialità più bruta a costituire l’oggetto del culto, in un complesso rapporto che intercorre tra la divinità e la sua rappresentazione materiale.

Ciò che rende assurdo questo presunto autodafé è invece l’idea che distruggendo l’oggetto si distrugga la credenza, la fede, la pratica religiosa. L’oggetto è importante, ma ciò che risulta fondamentale è quella tensione che si crea tra il concetto e l’oggetto che lo simboleggia. Una tensione che unisce le due facce della medaglia, ma che allo stesso tempo le oppone mettendole su due piani di percezione diversi.

Nel pensiero del vodu non c’è contrapposizione tra spirito e corpo, inoltre si rivela una continuità tra ordine biologico e ordine sociale, per cui è possibile parlare degli dei, parlando del nostro corpo, del corpo degli esseri che ci circondano, degli oggetti.

Questo legame tra realtà fisica e dimensione spirituale è il filo conduttore che percorre molte religioni tradizionali africane, per le quali un sistema simbolico è la rappresentazione e l’espressione di due tipi di realtà, quella sociale e quella fisica, ed è per questo che ha bisogno degli oggetti.

L’essenza dei feticci

I luoghi di culto del vodu sono spesso oggetto di sacrifici animali. Su quelle pietre, su quegli alberi, su quelle statuette e su ogni altro oggetto utilizzato per questo scopo, si possono vedere incrostazioni di sangue, polvere, piume. È questo raccogliere materia su materia che conferisce loro importanza.

L’oggetto, quello che spesso viene chiamato “feticcio”, reifica il dio, lo rende materiale. Talmente materiale che le statue delle divinità o i suoi simulacri, veri e propri ricettacoli dell’essenza di ciò che rappresentano, devono essere nutriti. A loro si portano offerte di cibo e bevande, perché rappresentano allusivamente l’immagine del corpo umano. Ma questo oggetto non è solo un rimando al concetto, possiede una sua forza vitale in quanto materia. La materia diventa quindi una componente essenziale per la creazione dei dispositivi simbolici. Questi oggetti non si limitano a rappresentare una relazione tra ciò che sono e ciò che rappresentano, la creano.

La materia pura è però difficile da immaginare, “cattiva da pensare”, si potrebbe dire parafrasando Lévi-Strauss. Occorre allora darle una forma di vita, un’intelligenza. Ecco cos’è l’animismo e, come scrive Marc Augé: «I feticisti, si diceva con stupore, adorano il legno e la pietra. Non hanno scelta: pensano».

Questo articolo è uscito sul numero 1/2022 della Rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’eshop.

Il vodù in breve

Abbiamo chiesto a Gigi Pezzoli, esperto di arte africana, tra i massimi studiosi italiani del vodu, di mettere in luce gli aspetti salienti di questa religione. Ecco un compendio essenziale.

Dove

Con il termine vodu si intendono le divinità e la religione praticata nelle regioni meridionali del Togo e del Benin (ex Dahomey).

Origini

Negli anni Trenta del secolo scorso, l’etnologo francese Bernard Maupoil scriveva, tracciando un quadro dei vodu dell’allora Dahomey: «Ignoriamo i dettagli della loro origine… Queste divinità furono prese ai nemici o acquistate dai vicini, in Nigeria, nella Gold Coast o in Togo». Maupoil in tal modo metteva in luce il significato sociale, politico, dei vodu e la loro natura profondamente storica. I vodu seguirono infatti le sorti dei regni e degli uomini che determinarono e vissero la storia di questa regione.

Possessione

A fianco della dimensione storica vi è un livello quotidiano, plasmato attraverso il rapporto di intimità e passione che esiste tra uomini e divinità. La possessione è il momento che sancisce la massima unione tra mondo visibile e mondo invisibile; i vodu, lungi dall’essere una realtà trascendentale, dimostrano quasi una “nostalgia” nei confronti degli uomini, un desiderio di unione e di ritorno, che esprime tra l’altro l’essenza delle divinità, fatte di materia, credenze, desideri, parole e relazioni. L’immanenza del mondo divino permea quindi la quotidianità delle donne e degli uomini che sono stati scelti per una relazione più intima con i vodu.

Sacrifici

La seconda peculiarità di ogni rapporto con i vodu sono i sacrifici. Il sangue degli animali immolati è essenziale a qualsiasi transizione tra gli uomini e i vodu, sia durante le cerimonie collettive, sia quando gli uomini e le donne si rivolgono ai vodu per negoziare una soluzione ai loro problemi esistenziali e quotidiani. Si tratta di una religione della presenza e della pratica, che si esprime in un rapporto corporeo con le divinità. In tal senso i vodu esistono perché esistono gli uomini e le donne che li alimentano attraverso i sacrifici, li accolgono nei loro corpi nel momento della possessione, organizzano le cerimonie, li tramandano di generazione in generazione e contribuiscono alla loro diffusione e successo.

In ogni luogo

Tutte le divinità, i vodu, sono entità spirituali estremamente attive, dinamiche e mutevoli, in grado di manifestare la loro energia ovunque l’uomo decida di convogliare tali potenze. Essi possono essere legati alle forze cosmiche (il tuono, la terra, l’acqua, ecc.), a un luogo specifico, a un elemento vegetale, a un uomo nato in circostanze o con caratteristiche fuori dal comune (i gemelli, i bambini idrocefali, ecc.), a un particolare oggetto o a un antenato.

Ambivalenza

Per cercare di comprendere la pratica religiosa, le sue ricadute morali, sociali e politiche, bisogna evidenziare l’ambivalenza insita nelle divinità stesse. Esse non sottoscrivono una visione del mondo di tipo dualistico, che divide la sfera del bene da quella del male come mondi impenetrabili. I vodu sono sia agenti di morte e sofferenza, sia strumenti di protezione e controllo, capaci di aiutare l’uomo a muoversi nel mondo e orientarsi nell’esistenza. La doppia attitudine dei vodu deve essere quindi costantemente mediata e negoziata, attraverso la pratica rituale e un rapporto talvolta quotidiano con le divinità. Solo ricordando questa apparente contraddizione intrinseca e seguendo il continuo slittamento tra livelli di controllo e di pericolo si possono comprendere le pratiche e i simboli della religione dei vodu, che non è né una religione consolatoria né dell’“anima”.

Un fenomeno dinamico

Il vodu africano continua oggi a essere intrinsecamente connesso alla società, alla storia e alla politica dei Paesi dove è praticato. Essendo un fenomeno dinamico e che dialoga costantemente con gli uomini e con la società, ne acquisisce il linguaggio, le attitudini, le aspirazioni e le paure, cercando di mediare tra le molte tensioni che percorrono la società contemporanea. (Gigi Pezzoli)

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