Camerun, sguardo su un conflitto ancora senza soluzione

di Celine Camoin
ambazonia

È entrato ieri nel suo quinto anno il conflitto, troppo spesso dimenticato dall’opinione internazionale, persino dai Paesi limitrofi, tra gruppi separatisti radicali anglofoni e forze del governo centrale del Camerun. Spesso definita “crisi anglofona”, la guerra che interessa direttamente le regioni del Nord-Ovest e del Sud-Ovest ha in realtà un riflesso nazionale e ripercussioni in altre regioni del Camerun, dove si spostano sfollati in fuga dalla violenza, mentre le attività economiche nel Noso (acronimo di Nord-Ovest Sud-Ovest) sono state fortemente danneggiate con ripercussioni sull’intera economia nazionale.

La guerra in atto merita tanta più attenzione ora che il conflitto sembra entrato in una nuova fase, militarmente più agguerrita, allorché le iniziative per portare a un dialogo e a una soluzione sono in stallo totale.

Uno spaccato della situazione è condivisa oggi con InfoAfrica dal giornalista Cédrick Noufélé, caporedattore del canale televisivo Equinoxe Télévision, rete privata con sede a Douala, che regolarmente pone al centro del dibattito l’evoluzione della crisi del Noso.

“Nelle città anglofone, le popolazioni riferiscono che l’insicurezza sta crescendo. Scontri armati sono all’ordine del giorno nel centro di Bamenda (il capoluogo del Nord-Ovest) e in diverse altre località. Nel Sud-Ovest, invece, esistono città in cui si osserva una sorta di tregua, ma solo di facciata”, riferisce il nostro interlocutore, raggiunto telefonicamente nella capitale economica camerunese. Durante la recente visita del primo ministro Joseph Dion Ngute a Buea, “le popolazioni gli hanno detto di vivere nella paura”. Nel cuore del capoluogo regionale sud-occidentale, la situazione della sicurezza è ancora fragile.

Le popolazioni del Noso sono sottoposte ogni lunedì a l’imposizione di un giorni di chiusura totale delle attività, un provvedimento che è parzialmente rispettato nelle grandi località, mentre nel piccoli centri  si trasformano in “ghost town“. “Il fatto che alcuni commercianti chiudano ogni volta i loro negozi dimostra che i leader separatisti e i loro gruppi armati hanno una certa influenza”, osserva Noufélé.

Nel settore dell’istruzione, la situazione è tragica. “Gli insegnanti hanno quasi tutti disertato le località lontane dai centri urbani. Erano obiettivi di rapimenti e aggressioni a tal punto da trovare rifugio fino alla città di Douala. Alcuni hanno persino visto sospesi gli stipendi a causa della loro assenza dalle scuole”, fa notare il conduttore televisivo alla nostra redazione.

“Secondo le Ong presenti sul posto il regno del terrore e l’atmosfera di povertà rendono queste regioni focolai di crisi umanitarie dove l’assistenza fatica a raggiungere le popolazioni vulnerabili – aggiunge – Ma questo non sembra non essere la percezione del governo”.

Nel suo recente intervento all’Assemblea generale dell’Onu, il ministro degli Esteri Lejeune Mbella Mbella, in rappresentanza del Capo di Stato Paul Biya, ha dichiarato che nelle regioni anglofone è in atto un graduale ritorno alla pace grazie ai frutti visibili dell’azione del governo. “Il ministro vuole forse nascondere al resto del mondo che il conflitto imperversa e che sono sempre peggiori i danni economici e umanitari?” si è interrogato Noufélé aprendo il telegiornale delle 20, alla viglia dell’anniversario.

Sul terreno in realtà, la Difesa ha preso atto del potenziamento dei ribelli, che nelle scorse settimane hanno colpito mortalmente oltre una quindicina di militari, distruggendo anche un significativo arsenale dell’esercito.

Le soluzioni proposte finora non hanno portato alla risoluzione del conflitto. “Tutti gli attori non statali concordano sul fatto che bisogna dialogare con i leader dei gruppi armati e i leader separatisti per negoziare un cessate il fuoco e analizzare le cause profonde della crisi anglofona, discutere la forma dello Stato e raggiungere una soluzione politica che possa contrastare le velleità separatiste”, riferisce il collega. Il primo ministro ritiene invece che la soluzione del governo sia lo status speciale, il cui contenuto è poco noto alle popolazioni delle regioni anglofone. Esistono anche il comitato per il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento, il conciliatore pubblico indipendente e la Camera dei capi, come misure politiche derivanti dal grande dialogo nazionale. La rete dei difensori dei diritti umani in Africa centrale sostiene l’organizzazione di una commissione di dialogo verità riconciliazione al fine di organizzare uno scambio franco e sincero sullo stato del Paese e gettare le basi per una nuova Repubblica. Alcuni analisti sono favorevoli al fatto che gli anglofoni possano prima incontrarsi per discutere i loro problemi e nominare il loro rappresentante prima di andare a un tavolo di discussione con il governo, ci spiega il giornalista di Equinoxe.

Dalla parte dei separatisti, alcuni leader come Sisiku Ayuk Tabe, che sta scontando una pena all’ergastolo, hanno subordinato la loro partecipazione a un dialogo al rispetto di determinate condizioni: il rilascio di tutti i prigionieri arrestati nel contesto della crisi anglofona, l’apertura di un’inchiesta dell’Onu sulle accuse di violazione dei diritti umani, la presenza di un mediatore indipendente durante le discussioni, che dovrebbero svolgersi fuori dal Camerun. Il governo ha chiesto a un’organizzazione svizzera di dialogare con i leader separatisti. “Tuttavia, c’è poca visibilità sulle azioni svolte finora e l’anno scorso, ci sono stati primi contatti tra i servizi segreti camerunesi e i leader separatisti in carcere in Camerun”, prosegue ancora Noufélé.

Il fatto di aver decapitato l’ala moderata dei separatisti, mandando in carcere i suoi principali esponenti, ha creato dissensi interni alla stessa ribellione, sebbene sia condivisa l’ideologia separatista. Non appena i rappresentanti sono stati arrestati, si sono presentati come leader di alcuni gruppi armati alcuni esponenti, altri, come membri di un governo ombra di una autoproclamata repubblica di Ambazonia. Hanno invitato la comunità camerunese di lingua inglese a sostenere la lotta armata nelle regioni anglofone attraverso la raccolta di fondi. Tra i leader separatisti nella diaspora figurano ex studenti dell’Università di Buea emigrati in Europa e in America. Il governo, che pensava di aver represso  il movimento arrestandone i portavoce, si è ritrovato davanti a una moltiplicazione di antagonisti, per di più armati.

Pochi giorni fa, il signore della guerra “No Pity”, uno dei capi dei ribelli, ha lancia un messaggio al governo centrale di Yaoundé. Le immagini mostrano almeno 30 motociclette, che trasportano combattenti separatisti dotati di armi pesanti. Il video si presenta come una risposta alle autorità centrali che, di fronte alle atrocità attribuite ai miliziani, promettono una risposta armata.

Il conflitto trova le sue origini nelle rivendicazioni della comunità anglofona, circa il 20% della popolazione. La minoranza accusa il governo centrale, francofono, di trascurare e marginalizzare, sia economicamente, che politicamente, che nella pubblica amministrazione, le antiche regioni sotto tutela britannica, il Northern e il Southern Cameroon. È in queste regioni che trova leve il principale partito d’opposizione, il Social democratic front (Sdf), fondato a Bamenda nel 1990. Ufficialmente, i partiti anglofoni come l’Sdf, sono contrari alla lotta armata, ma ritengono che le rivendicazioni dei separatisti siano fondate.

L’opzione militare può essere la soluzione? In  molti pensano il contrario e lo ha detto di recente l’ex vice segretario di Stato statunitense incaricato dell’Africa Tibor Nagy. È fondamentale, secondo l’ex funzionario Us,  il dialogo per uscire dalla crisi. Una crisi che non porterà sicuramente alla nascita di uno Stato indipendente anglofono. Potrebbero giocare un ruolo le ex potenze colonizzatrici, Francia, Germania e Inghilterra, aiutando a portare i protagonisti al tavolo delle discussioni per uscire da questa crisi.

(Céline Camoin)

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