Belli e cattivi

di claudia

Alla scoperta dei Rendille, fieri e temuti pastori del Kenya. I Rendille del Kenya godono di pessima fama tra gli altri gruppi pastorali con cui condividono pascoli e pozze d’acque. Una ricerca genetica condotta nell’area del Lago Turkana ha rivelato come l’identità etnica sia una costruzione unicamente culturale

di Alberto Salza – foto di Eric Lafforgue / Afp

«I Rendille sono cattivi». Così, a turno, mi dicono El-molo, Turkana, Gabra, Somali, Samburu, Dhaasanac, qualche Borana: si tratta delle popolazioni che vivono attorno al villaggio di Loiyangalani, sulle rive orientali del Lago Turkana, in Kenya. Ovviamente, i Rendille non la pensano così, e disprezzano tutti gli altri. Le alture di lava che circondano la parte meridionale del lago sono teatro di feroci razzie di bestiame, agguati, maltrattamenti, uno sparo qua e un colpo di lancia là. È il cosiddetto conflitto tribale, in cui i Rendille sono protagonisti di indubbia fama.

Mescolanza genetica

Per qualche misteriosa ragione, nel perimetro di Loiyangalani convivono tutti assieme in santa pace: un esteso quartiere rendille (Kiwanja Ndege, “Aeroporto”, proprio accanto alla pista in terra) confina con quello turkana (Kula Pesa, “Mangiasoldi”, poiché, di contrabbando, vi si vende la birra fermentata dalle donne). Anni fa svolgemmo una ricerca genetica al Turkana. Cercando di evitare gli schizzi di tabacco, spazzolammo l’interno della bocca di circa 200 individui per raccogliere campioni di Dna.

I risultati di laboratorio mostrarono un’evidente negatività nell’indice di fissazione F-st (una misura di differenziazione delle popolazioni dovuta alla struttura genetica), avvalorando l’ipotesi di alta mescolanza dei popoli pastorali, proprio i più accesi nell’affermare la propria “identità culturale”. La probabilità che due individui, presi a caso tra Rendille, Gabra, Samburu e Turkana, siano simili nei contenuti mitocondriali (contributo femminile al Dna) è dell’82%. Di conseguenza, sono indistinguibili geneticamente. Il mio miglior compagno di vagabondaggio attorno agli orrori del Turkana era un Rendille (ormai defunto) che aveva sposato una Turkana acconciata come una Samburu.

Guerrieri rendille, fieri della loro grazia e forza, con improbabili calzature made in China ai piedi, in occasione dell’annuale Lake Turkana Festival, dove i popoli che compongono il mosaico dell’area si raduno in un clima di ritrovata armonia

Originali e falsi

In qualche modo però – e questo vale per ogni identità culturale – i Rendille esistono per autodefinizione: chiunque affermi di essere un Rendille e abbia un qualche albero genealogico da recitare a proposito, lo è. Si tratta di una popolazione di circa centomila persone dedite essenzialmente alla pastorizia di dromedari nelle savane aperte e nelle piane aride che si trovano tra i Monti Ndoto, il deserto del Kaisut e il Lago Turkana.

Privi di un mito delle origini, i Rendille sembrano essere un coacervo di profughi ambientali e di guerra, derivanti da popolazioni proto-somale del primo millennio avanti Cristo, messe poi in crisi dall’espansione degli Oromo etiopici. La loro lingua è assai simile al somalo (cuscitico), mentre i costumi (abbigliamento, ornamenti, cerimonie, società, il calendario solare e lunare al contempo) sono vicini ai Gabra (pastori di ovini) e ai Samburu (pastori di vacche, nilotici). I Rendille, come i Samburu, sono organizzati attorno a un sistema di classi di età e lignaggi patrilineari (keya) appartenenti a una quindicina di gruppi di famiglie.

Per comprendere i meccanismi di frantumazione e assimilazione che caratterizzano l’area, solo nove dei quindici gruppi sono considerati dai Rendille stessi come “autentici”: quelli del nord. I miei amici somali distinguono i Rendille “originali” (asili) da quelli “cattivi” (noti solo per tale caratteristica morale), esclusi dalle due “metà” (belesi) Est e Ovest che garantiscono l’equilibrio di potere nella gerontocrazia rendille.

Donne rendille, agghindate con le tipiche perline colorate, si esibiscono in danze tradizionali nei pressi di Loiyangalani, durante il Lake Turkana Festival. I loro costumi sono assai simili a quelli degli altri popoli della regione

Carattere spigoloso

I Rendille furono contattati dagli europei solo nel 1907: «Sono non-cooperativi», fu l’analisi ufficiale. Fino a poco tempo fa, anche gli antropologi venivano presi a sassate da donne e bambini. Dai guerrieri era meglio stare lontano. In ogni caso e con ogni mezzo, i Rendille risultano fastidiosi.

Un giorno ci eravamo accampati in mezzo al nulla. Comparvero alcuni Rendille con bandoliera e Ak-47 (ci si modernizza tutti, prima o poi). Mia moglie mi chiese se erano amici o nemici, e propose di offrir loro del tè. Le chiesi di star calma; poi mi avviai alla pozza per prendere un po’ d’acqua. Venimmo affiancati da un Rendille tutto pittato e carico di ornamenti di perline colorate. Iniziò la tipica tiritera: «Dammi l’orologio». «No». «Dammi la camicia». «No». «Dammi cento scellini». «Non se ne parla nemmeno». Mi chinai per raccogliere la poca acqua marrone. «Dammi dell’acqua». «Sei grande e grosso: l’acqua te la prendi da te». Allora mia moglie disse soavemente: «Alberto, dagli qualcosa: non vedi che ha un fucile?». «Se lo facciamo siamo spacciati», replicai. Caricammo gli asini e filammo via da lì.

Astute strategie

Dato che i Rendille, come tutti i pastori dell’area, sono arroganti e pieni di sé, la sequenza di richiesta è riservata agli stranieri, chiunque essi siano. Normalmente, per un Rendille l’imperativo è non mostrare di avere fame, sete o bisogni di sorta, a volte con esiti comici. Per esempio, quando assumono quell’atteggiamento con me, lascio che non raccolgano l’acqua. Dopo dodici ore di marcia al sole, l’atteggiamento cambia, e la mia tanto disprezzata borraccia acquisisce un’aura mistica anche per loro. La cosa è differente quando si tratta degli “oggetti estranei”, che comprendono, tra l’altro, gli aiuti alimentari, i soldi, lo zucchero, la polenta, gli indumenti, i sandali di plastica, le pentole d’alluminio, i telefonini e chi più ne ha più ne metta.

Nell’impossibilità della razzia a tempo pieno (opzione desiderata, ma sconsigliata), i Rendille ricorrono a suppliche, pianti disperati, continue richieste di assistenza, accattonaggio, eccetera. Si tratta di una strategia di foraggiamento ottimizzata che è considerata un segno di forza e astuzia, non di debolezza. Si viene spesso presi nella trappola per sfinimento, ma è un errore che vi separerà dai Rendille per sempre.

Un bastone equivoco

La situazione anomala di Loiyangalani come zona franca da conflitti ne ha fatto il centro dell’annuale Lake Turkana Festival, dove tutte le culture che compongono il mosaico dell’area sono invitate a esibirsi tramite performance di vario tipo. È soprattutto un tripudio di perline colorate danzanti in uno scenario di polvere sullo sfondo di acque color giada, ma offre la presenza altera dei guerrieri e delle ragazze rendille, fieri della loro bellezza, grazia e forza.

I guerrieri arrivano con la loro andatura rollata sulle piante dei piedi, acconciati con mille vezzi secondo tradizione. Gli uomini sposati rendille, a parte gli orecchini, devono invece accontentarsi di una coperta lurida e di un bel bastone. Quando iniziai a vagare a piedi da quelle parti, notai che tutti avevano un bastone. D’altra parte, il nome rendille sembra traducibile con “Coloro che impugnano il bastone di Dio”. Così, un giorno, me ne procurai uno a Nairobi. «È rendille» sentenziò il venditore. Era bellissimo. In legno rosso, lucido di grasso, con un manico sconcertante: una coda di giraffa resa solidale da un intreccio di cuoio, che conferiva al tutto, messo al polso, un grazioso movimento oscillatorio. Mi ci pavoneggiai per mesi, tra l’improvviso e ingiustificato interesse delle dame locali.

Stranamente avevano perso il gusto del dileggio greve che le contraddistingueva nei miei confronti. Capitai davanti a un vecchione, che cadde dal tipico sedile poggiatesta a tre zampe. Rideva come un matto. A quanto pareva, ero andato attorno con una reliquia del passato sessuale dei Rendille: un bastone da gigolò atto ad adescare le fanciulle, con la sua mollezza di coda pronta a trasformarsi in rigida minaccia. Lo nascosi, per non fare la solita figura dell’antropologo cretino. Ma ce l’ho ancora, per quel che avrebbe potuto essere e non fu.

(Alberto Salza – foto di Eric Lafforgue Afp)

Questo articolo è uscito sul numero 3/2021 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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