Apolline Traoré, una regista combattente

di claudia
Apolline Traoré

di Annamaria Gallone

Ricordo che me ne aveva parlato Idrissa Ouédraogo, il grandissimo regista burkinabé ora scomparso, che mi aveva detto: “Tienila d’occhio, perché è molto brava e farà strada”. Conosciamo meglio Apolline Traoré, questa autrice intraprendente e costantemente impegnata per la causa dell’emancipazione femminile.

Apolline nasce nel 1976 a Ouagadougou, in Burkina Faso e durante l’infanzia viaggia per il mondo con il padre, che lavora per la FAO. All’età di 17 anni si iscrive all’Emerson College di Boston (USA), nota istituzione nel campo dell’arte e della comunicazione, laureandosi in Media Art nel 1998. Comincia subito a lavorare a Los Angeles con piccoli cortometraggi indipendenti, tra cui Il prezzo dell’ignoranza (2000) su una vittima di stupro di Boston, e Kounandi nel 2003, selezionato per il Toronto International Film Festival del 2004. Kounandi viene maltrattata perché è una nana, ma è la generosità stessa e Karim è l’unico che la capisce, la aiuta e la rispetta. Alla fine, si sacrifica per renderlo felice, donando il suo cuore alla fidanzata malata. Edificazione con l’esempio: l’amore può arrivare a sacrificarsi per l’altra persona.

Arriva poi nel 2004 a produrre e realizzare il suo primo lungometraggio di finzione, Sotto il chiaro di luna, presentato in anteprima mondiale nel Regno Unito al Festival Africa in Motion di Edimburgo. Patrick, un giovane francese di trent’anni, lavora da un anno in un piccolo villaggio del Burkina Faso. Per alcuni mesi ha una relazione con una ragazza del villaggio di 25 anni, Kaya, che rimane incinta. Quando nasce la figlia Martine, Patrick fugge con lei in Europa. Lo shock di questa perdita rende Kaya senza parole. Sette anni dopo, Patrick torna al villaggio per la manutenzione dei pozzi che aveva costruito. Arriva con la figlia Martine. Gli abitanti del villaggio lo accolgono con qualche riserva, soprattutto agli occhi di alcuni di loro. Patrick viene a sapere che Kaya è diventata muta. Non potendo purtroppo rimanere a lungo nel villaggio, Patrick affida Martine a Kaya per qualche ora. Quando scopre la cattiva educazione della figlia, Kaya decide di fuggire nella notte con Martine…

Ouédraogo la convince, dopo il loro incontro durante il suo primo Fespaco, a “tornare a raccontare storie in campagna” e le suggerisce di scrivere una serie. Quello che segue è Monia et Rama, la prima fiction a episodi di Apolline Traoré, che segna l’inizio di una lunga collaborazione tra il giovane cinema burkinabé e uno dei suoi pionieri. “Ho imparato grazie al suo cinema a rallentare un po’ rispetto a quello che scrivevo. L’America mi ha dato gli strumenti tecnici per realizzare il mio cinema. L’Africa mi ha dato la sua cultura, il suo ritmo, a volte lento, che devo rispettare” confessa la regista.

Monia et Rama

Monia e Rama sono due giovani amiche inseparabili, che non vanno più d’accordo a causa di Chérif, un giovane attraente e frivolo che le seduce a turno senza che loro se ne rendano conto. Aline, un’amica d’infanzia, spiffera tutto a Monia. Rama sposa Chérif, ma la abbandona perché è sterile. Monia rimane incinta del figlio di Chérif e inizia una relazione con lui. Da quel momento in poi, lui la maltratta. Incapace di sopportare la sofferenza di Monia, Rama uccide Cherif. Ma Monia si assume la responsabilità del crimine e si fa prigioniera al posto di Rama. Quando esce di prigione, il testamento di Chérif rende beneficiari i due amici e i loro figli. “Il mio obiettivo è mostrare fino a che punto l’orgoglio impedisce di risolvere un malinteso. Come può distruggere un’amicizia. “Con questa storia voglio anche sottolineare che l’amore e l’amicizia sono sempre più forti, nonostante le peggiori costrizioni, della disperazione e dell’odio” sostiene la regista.

L’altra serie, Il Testamento, ottiene presso i Burkinabé altrettanto successo come la prima e viene programmata da vari canali africani. Dirige poi Io Zaphira ! (2013), il suo secondo lungometraggio di finzione, per il quale l’attrice protagonista, Mariam Ouédraogo, vince il premio come miglior attrice al Fespaco 2013. Zaphira è una giovane donna che vive con la sua figlioletta di sette anni. Detesta la quotidianità che è costretta a vivere e spera in un avvenire migliore per sua figlia. Un giorno, in un negozio di moda, vede delle giovani e belle ragazze e rinasce in lei la speranza: sua figlia potrà fare l’indossatrice! Il suo nuovo film Frontiere (2017) è nel concorso ufficiale dei lungometraggi dello stesso Festival burkinabé, il più grande Festival al mondo per il cinema africano e della diaspora, e si aggiudicadue premi. Tre donne si incontrano su un autobus sul Dakar, Bamako, Cotonou via Ouagadougou fino a Lagos. Durante il loro tragitto scoprono bei paesaggi dei paesi della Costa e del Sahel, ma il loro viaggio è turbato dall’irruzione di soldati e dal mezzo che cade in panne in mezzo al nulla, mentre il caldo è soffocante. Nonostante ciò, riescono ad affrontare con il loro coraggio ladri e malviventi. 

Desrances

Il suo quarto lungometraggio, Desrances, parla diFrancis, che ha lasciato Haiti dopo la morte dei suoi genitori massacrati dal regime dittatoriale e istallatosi ad Abidjan, con Aïssey, la moglie eHaïla, la sua figlia dodicenne, attende con ansia la nascita di un erede maschio. Al momento del parto, una guerra civile scoppia ad Abidjan. Francis scopre in questa occasione il coraggio insospettato di sua figlia e capisce che è lei il degno erede del suo illustre antenato Al Fespaco del 2019 il filmriceve il premio per il miglior design, accumulando altri premi e riconoscimenti a livello internazionale: tre premi al Kerala International Festival in India; tre premi ai Sotigui Awards; il Grand Prix Buste d’or Paulin Soumanou Vieyra ai Rencontres cinématographiques et numériques di Cotonou e diversi altri.

 SIRA

L’ultimo suo lungometraggio, Sira, è quello che le ha conquistato la maggiore fama: presentato in anteprima mondiale e premiato nella sezione Panorama dellaBerlinale 2023, nello stesso tempo riceveva il massimo premio del Fespaco, lo stallone d’oro: un vero trionfo! Da 26 anni, l’ambito premio non andava a un regista burkinabé, dopo la vittoria di Gaston Kaboré con il film Buud Yam.

Questa coproduzione tra Burkina Faso, Francia e Germania, è un dramma toccante con una protagonista femminile ispiratrice. All’inizio il film doveva essere girato in Burkina Faso. Ma a causa della situazione, il governo non lo ha permesso perché era troppo pericoloso, quindi tutto ha dovuto essere trasferito in Mauritania. La protagonista, Nafissatou Cissé, è stata scelta dopo un casting di oltre 1000 (!!!) ragazze: “Ho visto la rabbia di cui aveva bisogno per il ruolo. Non aveva mai recitato prima, ma si vedeva nei suoi occhi che lo desiderava moltissimo. La sfida più grande per lei era che non riusciva a controllare le sue emozioni: quando iniziava a piangere, non smetteva per il resto della giornata” -dice la regista. E ancora: “Volevo davvero mettere il pubblico molto a disagio fin dall’inizio e tenere le persone attaccate alle loro poltrone, in modo che possano sentire ciò che la comunità in quella zona sta provando in questo momento”.

Tra il thriller e il western, Sira ha tutti gli elementi narrativi classici del genere: l’eroina ferita, il nemico da sconfiggere e il paesaggio come terzo protagonista.

Sira, una giovane nomade Fulani, è impaziente: lei e la sua famiglia sono in viaggio attraverso il deserto, in cammello, per incontrare il suo sposo. È una donna forte e sicura di sé, il padre musulmano si fida di lei e appoggia la sua scelta, acconsentendo al matrimonio tra lei e Jean Sidi, un contadino cristiano che è stato il suo amore d’infanzia. Mentre le famiglie si incontrano e portano avanti un dialogo che possa riuscire ad anteporre la forza dell’amore che lega i due giovani alle loro perplessità, alle loro differenze culturali e a una certa diffidenza, il villaggio viene attaccato da terroristi islamici che uccidono a sangue freddo gli uomini. Reagendo con veemenza e maledicendo gli aggressori per il loro gesto, Sira viene rapita, violentata e poi abbandonata in mezzo al deserto ad affrontare quella che si preannuncia una morte certa. Dando prova di grande tenacia, riesce a raggiungere il luogo in cui è situato il campo dei terroristi: lì trova rifugio in una grotta vicina dove resiste per mesi, pianificando le sue prossime mosse. Sarà l’arrivo di alcune prigioniere che offrirà a Sira l’opportunità di incontrare delle preziose alleate con le quali organizzare una controffensiva che possa fare loro riguadagnare la libertà.

“Questo film parla di resilienza. In questo momento, nei paesi dell’Africa occidentale, […] siamo pronti a combattere e non ci arrenderemo. Il nostro legame sociale è molto importante in questo momento. È ciò che sta impedendo una guerra civile. Non si tratta solo di amore incondizionato tra un uomo e una donna; è l’amore tra i membri di una comunità. Questo è ciò che ci aiuterà a risolvere questo problema.  (…) Voglio dire alla mia gente che c’è speranza. E per il pubblico internazionale, voglio spiegare com’è la situazione, raccontare loro di questa guerra. È mia responsabilità raccontare cosa sta succedendo”.

“Senza compromessi”, il film di Apolline Traoré è tanto quanto la sua regista, che si afferma “interamente” nel suo quinto lungometraggio, tra resilienza e resistenza. La sua eroina, Apolline Traoré, ha voluto che fosse una combattente per superare lo shock che lei stessa ha provato durante il massacro di Yirgou, in Burkina Faso, nel gennaio 2019. Dopo un attacco terroristico che ha provocato la morte di 160 persone di etnia Mossi, tra cui un tradizionale capo, le milizie di Koglweogo hanno ucciso più di 72 Fulani per rappresaglia: “Sono rimasto sinceramente scioccata perché non ho mai conosciuto un Burkina come questo. È stato come una terapia iniziare a scrivere questa storia, perché ero profondamente turbato. (…) Non posso andare al fronte, non sono un politico, posso solo usare la mia arte per esprimere il mio dolore.»

Apolline Traoré ha ricevuto diverse onorificenze per il suo impegno per la cultura e la promozione delle donne. In particolare, ha ricevuto la medaglia per la lotta delle donne nel cinema durante il Luxor African Film Festival. Nel 2019 si è distinta come Chevalier de l’Ordre du Mérite, des Arts, des Lettres et de la Communication e nel 2020 è stata insediata come Ambasciatrice del Museo Nazionale del Burkina Faso. Ouédraogo non si era sbagliato.

Condividi

Altre letture correlate: