2019 – Africa tra democrazia e jihadismo

di Enrico Casale
elezioni in algeria

di Enrico Casale

Lotta al fondamentalismo, consolidamento delle democrazie, ripresa economica sono queste le principali sfide che l’Africa si troverà di fronte nel 2019. Sfide che il continente dovrà affrontare con leadership (in parte) nuove e in un contesto internazionale non facile contrassegnato dallo scontro tra Stati Uniti e Cina e un’Unione europea che non è in grado di far valere la sua forza sul piano diplomatico.

Algeria
Il 2019 sarà un anno cruciale per l’Algeria. Ad aprile si terranno le elezioni presidenziali. Il presidente Abdelaziz Bouteflika ha annunciato che si ricandiderà per la quinta volta. Se vincerà, Bouteflika sarà in grado di governare? I dubbi sono legittimi se consideriamo che il capo dello Stato ha 82 anni e una salute malferma che lo costringe a frequenti visite mediche in Europa e a non ricevere visite di Stato. I dossier sul suo tavolo sono molto importanti, vanno dalla sfida al jihadismo che minaccia le regioni meridionali alla pace nel Sahara occidentale, dalla riconciliazione in Libia alla gestione delle risorse petrolifere. Le forze armate hanno sempre sostenuto Bouteflika, sono ancora disposte a farlo? E quale ruolo giocheranno nella stabilizzazione del Paese?

Camerun
Nel 2018, Paul Biya ha vinto nuovamente le elezioni. Premier dal 1975 al 1982 e presidente dal 1982 a oggi, è al potere da 44 anni. A 85 anni si trova ad affrontare due sfide da far tremare i polsi anche ai politici più esperti: la minaccia islamista al Nord (dove al confine con la Nigeria imperversa la milizia Boko Haram) e il movimento indipendentista anglofono. Sotto il primo aspetto, Biya dovrà rafforzare la cooperazione regionale per riuscire a contenere le infiltrazioni dei fondamentalisti. Per quanto riguarda il movimento anglofono, finora Yaoundé ha reagito con la forza. Ma questa è ancora una politica vincente? Basterà rafforzare i presidi delle forze armate e della polizia per placare le proteste della popolazione locale? Oppure Biya aprirà un dialogo per concedere almeno alcune delle rivendicazioni delle popolazioni di lingua inglese?

Rd Congo
Nel 2019, Kinshasa dovrà dimostrare di essere un’autentica democrazia. Le elezioni che si sono tenute il 30 dicembre sono state caratterizzate da malfunzionamenti, ritardi, disguidi, incidenti, ma hanno rappresentato un momento storico per il Paese. A quasi sessant’anni dall’indipendenza, è stato il terzo scrutinio libero del Paese. La nuova leadership è chiamata a consolidare la transizione democratica. Le sfide sono moltissime. Dovranno essere assicurati spazi di espressione sia all’opposizione sia alla società civile. Dovranno essere pacificate le ricche regioni orientali garantendo diritti a tutte le etnie. Dovrà essere progettato un sistema di equa ripartizione dei proventi delle risorse naturali in modo da favorire uno sviluppo equilibrato del Paese e strappare alla miseria migliaia di persone. Sono obiettivi che richiedono strategie di lungo periodo, l’élite di Kinshasa sarà in grado di prendere decisioni così importanti? E come reagirà la comunità economica e politica internazionale?

Egitto
Paese cerniera tra Africa e Asia, snodo chiave del commercio internazionale (grazie al Canale di Suez) dovrà affrontare la sfida sempre più accesa con il jihadismo che ha messo le sue basi e controlla parte del Sinai. Il presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha dimostrato di voler nella sua strenua lotta contro i movimenti fondamentalisti? In questo contesto cambierà atteggiamento nei confronti della Fratellanza musulmana e del movimento dell’islam politico che ha messo fuorilegge nel momento in cui è salito al potere? Rimane aperta anche il capitolo sulla morte di Giulio Regeni. Ormai è sempre più chiaro il coinvolgimento degli apparati di sicurezza del Cairo? Il presidente vorrà fare chiarezza e pulizia tra le sue forze dell’ordine e consegnare finalmente i colpevoli dell’omicidio del ricercatore friulano?

Etiopia
L’arrivo al potere del premier Abiy Ahmed ha rappresentato una svolta epocale per il Paese. Ha varato riforme economiche, ha liberato i prigionieri politici, ha firmato un’intesa di pace con l’Eritrea (ponendo fine a vent’anni di tensioni) si è ravvicinato alla Somalia. Se questa tendenza continuerà, si potrà aprire una stagione di pace per l’intera Africa orientale. La cooperazione tra Eritrea, Etiopia, Somalia e Gibuti potrebbe mettere in un angolo il fondamentalismo islamico (ancora molto attivo in Somalia sebbene diviso tra fazioni filo Isis e filo al Qaeda) e potrebbe rilanciare l’economia della regione. I porti di Massaua, Assab e Gibuti a Nord-Est e di Mogadiscio a Sud-Est potrebbero offrire una spinta per l’export delle merci locali e ridurre la povertà (fonte di migrazione verso il Nord).

Mozambico
Maputo si sta scoprendo sempre più ricca. I giacimenti di petrolio e di gas naturale scoperti nel Canale del Mozambico potrebbero davvero cambiare il volto del Paese. Spetterà al presidente Filipe Nyusi varare riforme in grado di offrire un’equa redistribuzione delle risorse derivanti dagli idrocarburi. Nel 2019, il capo dello Stato si troverà anche a far fronte alla minaccia jihadista che, nel corso del 2018, ha sconvolto le regioni settentrionali del Paese, provocando decine di morti. Il governo dovrà riuscire a contenere l’espansione di questo fenomeno in modo da evitare un pericoloso e rapido «contagio» nella tradizionale e pacifica comunità islamica locale.

Sudafrica
Al capo dello Stato Cyril Ramaphosa, 65 anni, sindacalista, uomo d’affari, attivista politico, spetterà il difficile compito di restituire credibilità all’African National Congress, il partito che ha gestito il potere negli ultimi 25 anni. Gli scandali che hanno travolto l’ex presidente Jacob Zuma e le divisioni interne hanno fatto perdere consensi al partito che fu di Nelson Mandela. In vista delle lezioni di maggio, Ramaphosa dovrà dimostrare di essere in grado di lottare contro le ingiustizie sociali e la corruzione, promuovere lo sviluppo economico e restituire speranza e opportunità ai tanti giovani disoccupati o delusi. Anche in Sudafrica si ripresenterà il delicato tema della riforma agraria. Solo un’equa ripartizione delle terre che sappia conciliare le indubbie capacità dei farmer bianchi e la necessità dei contadini neri potrà evitare una redistribuzione disastrosa come quella attuata da Mugabe in Zimbabwe.

Zimbabwe
Nuovo presidente, vecchi problemi. L’uscita di scena del vecchio Robert Mugabe e l’arrivo alla presidenza di Emanuel Mnangagwa non ha risolto, al momento, neanche uno degli annosi e dolorosi dossier dello Zimbabwe. Il primo è quello della ridistribuzione delle terre. La riforma agraria voluta nel 2000 da Robert Mugabe aveva di fatto consegnato i latifondi dei farmer bianchi ai gerarchi del partito di potere (Zanu-Pf). Questi ultimi, incapaci di fare rendere le grandi proprietà, hanno provocato un tracollo dell’economia. Nonostante Mnangagwa abbia promesso di restituire le terre ai bianchi, l’onda lunga della crisi sta travolgendo ancora il Paese. Rimane anche irrisolta la questione di una più equa ripartizione delle terre che premi la popolazione nera. Il rischio è che si crei ulteriore instabilità politica e quindi ulteriore crisi.

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