Somalia – «Si chiuda Dadaab, ma si aiuti i somali»

di Enrico Casale
Il campo profughi di Dadaab in Kenya

“Adesso che c’è un governo in Somalia, è un bene che il campo sia chiuso e la popolazione abbia la possibilità di tornare a casa” ha affermato Sua Ecc. Mons. Paul Darmanin, Vescovo di Garissa, commentando l’annuncio, da parte del governo del Kenya, della prossima chiusura dei campi di rifugiati somali di Dadaab.
La diocesi di Darissa, nel cui territorio rientra Dadaab, è ancora scossa per il massacro del 2 aprile, commesso dagli Shabaab somali che hanno ucciso 148 persone nel locale campus universitario, scelte sulla base della loro appartenenza religiosa.
Tra i provvedimenti presi dal governo di Nairobi dopo il massacro, c’è la chiusura entro tre mesi dei 5 campi di Dadaab, fondati nel 1991 per accogliere 90.000 persone ed ora divenuti il campo di accoglienza più grande al mondo, dove oggi vivono circa 400.000 somali fuggiti dalla guerra civile che sconvolge il loro Paese.
Secondo il governo di Nairobi la struttura contribuisce all’insicurezza del Kenya perché al suo interno si nasconderebbero fiancheggiatori degli Shabaab. “La natura della nostra società è di proteggere la famiglia e gli amici. La popolazione dei campi non può denunciare i criminali pericolosi che vivono tra loro perché fanno parte della famiglia. Mentre la chiusura dei campi non potrà far cessare gli attacchi terroristici, ci sarà una riduzione dei canali di reclutamento e di pianificazione degli attacchi” commenta il Vescovo all’agenzia keniana Waumini.
Per Mons. Darmanin, la situazione della sicurezza in Somalia, seppure “non molto buona”, permetterebbe un ritorno dei rifugiati perché i recenti attentati degli Shabaab sul suolo somalo hanno preso di mira “funzionari governativi e istituzioni e non i civili”, per cui, afferma il Vescovo di Garissa, “è meglio che i rifugiati tornino a casa e ricevano assistenza lì”.
Mons. Darmanin conclude lanciando un appello al governo keniano perché porti sviluppo alla regione di Garissa, abitata da somali in condizioni talmente povere che molti di loro si sono fatti passare per rifugiati per potere ottenere assistenza dalle organizzazioni che assistono i campi di Dadaab. “Molti somali keniani si sono registrati nel campo di rifugiati e vi si recano regolarmente per ottenere razioni di cibo e altro, e questo è pericolo” ha concluso il Vescovo. (17/4/2015 Fonte: Fides)

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