Hiv e disuguaglianze, le donne dell’Africa subsahariana le più colpite

di claudia

di Claudia Volonterio

C’è una forte correlazione tra disuguaglianze di genere, economiche, sociali e diffusione dell’Hiv. Il virus non verrà sconfitto entro il 2030 se non si metterà in atto una politica volta a contrastare discriminazioni, stigma e mascolinità tossica. Questo il dato principale che emerge dal nuovo rapporto delle Nazioni Unite UNAIDS, Dangerous Inequalities in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra oggi. Le donne dell’Africa subsahariana risultano le più colpite al mondo, con il 63% delle nuove infezioni da HIV registrate nel 2021, con probabilità tre volte maggiori di contrarre il virus rispetto agli uomini

“Il mondo non sarà in grado di sconfiggere l’AIDS rafforzando il patriarcato”, ha dichiarato Winnie Byanyima, direttore esecutivo dell’UNAIDS. “Dobbiamo affrontare le disuguaglianze intersecanti che le donne devono affrontare. Nelle aree ad alto carico di HIV, le donne sottoposte a violenza da parte del partner hanno fino al 50% in più di probabilità di contrarre l’HIV. In 33 paesi dal 2015 al 2021 solo il 41% delle donne sposate di età compresa tra 15 e 24 anni ha potuto prendere le proprie decisioni sulla salute sessuale. L’unico percorso efficace per porre fine all’AIDS, raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e garantire salute, diritti e prosperità condivisa è un percorso femminista. Le organizzazioni e i movimenti per i diritti delle donne sono già in prima linea a svolgere questo coraggioso lavoro. I leader devono sostenerli e imparare da loro”, ha aggiunto Byanyima in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che ricorre oggi.

Il pericolo di contrarre il virus per le donne risulta tre volte superiore agli uomini, con un’incidenza maggiore sulle giovani tra i 15 e i 24 anni, emerge dal rapporto. Per quest’ultime una soluzione efficace riguarda l’accesso scolastico e la difesa di questo diritto per le ragazze. Il rischio di infezione aumenta infatti del 50% nelle ragazze senza scolarizzazione. La scuola è un’ambiente protettivo per le giovani donne, che possono in questo modo difendersi da una violenza “normalizzata” da matrimoni precoci, oltre ad ottenere una formazione che garantirà loro indipendenza economica e determinazione personale. La politica gioca un ruolo chiave perché ha la facoltà di agire affinché questo diritto venga applicato e garantito attraverso delle norme.

Dal rapporto emerge inoltre la pericolosità di leggi repressive e discriminatoria di genere e condotta sessuale. Gli uomini omosessuali che vivono in paesi africani con le leggi più repressive verso l’omosessualità hanno una probabilità tre volte inferiore di conoscere il proprio stato di HIV rispetto alle loro controparti che vivono in paesi con le leggi meno repressive. Allo stesso modo, le prostitute che vivono in paesi in cui il lavoro sessuale è criminalizzato hanno una possibilità sette volte maggiore di convivere con l’HIV rispetto ai paesi in cui il lavoro sessuale è legale o parzialmente legalizzato. Le leggi discriminatorie non fanno altro che peggiorare l’accesso della popolazione ai servizi di prevenzione e cura.

In Africa le donne sono maggiormente esposte a contrarre il virus soprattutto nelle aree rurali, dove mancano o sono scarsi i servizi necessari, ma un ruolo principale ha a che fare con lo stigma sociale che impedisce loro di accedere ai servizi di cura e di prevenzione. Per questo le ragazze spesso hanno difficoltà a reperire informazioni sulle modalità di trasmissione del virus, disparità che le pone primariamente più a rischio degli uomini.

“Ciò che i leader mondiali devono fare è chiarissimo”, ha affermato Byanyima. “In una parola: equalizzare. Pareggiare l’accesso ai diritti, pareggiare l’accesso ai servizi, pareggiare l’accesso alla migliore scienza e medicina. L’equalizzazione non aiuterà solo gli emarginati. Aiuterà tutti”.

Vittime di disuguaglianze oltre alle donne, risultano i bambini. “Con la scienza di cui disponiamo, nessun bambino dovrebbe nascere con l’Hiv e nessun bambino sieropositivo dovrebbe essere privo di cure. Abbiamo tutto”, ha sottolineato Byanyima. “In Tanzania, l’87% degli adulti affetti da Hiv è in trattamento. Ma solo il 60% dei bambini che vivono con l’Hiv è in cura. C’è un divario”, ha detto aggiungendo che i bambini rappresentano solo il 4% del totale dei pazienti affetti da Hiv/Aids nel mondo. “Ma se contiamo quelli che muoiono, i bambini sono il 15% del numero totale”, ha precisato. “Questo ci dice che stiamo lasciando indietro i bambini e dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo permettere che questa ingiustizia evitabile continui”, ha ammonito.

Un dato interessante divulgato dall’UNDP riguarda l’incidenza della pandemia sul tasso di trasmissione dell’hiv. La crisi pandemica ha messo infatti in stato di fermo tutti i progressi fatti riguardo a cura e prevenzione. Emblematico il caso del Sudafrica, tra i più colpiti dal virus nel continente e a livello mondiale. Come riporta il sito di informazione All Africa, il governo sudafricano ha ammesso di aver distolto l’attenzione dal trattamento dell’HIV/AIDS con l’inizio dell’emergenza Covid-19. Negli ultimi anni erano stati molti gli sforzi e gli investimenti per raggiungere l’obiettivo delle Nazioni Unite nel 2030, con progressi significativi sulla diminuzione delle infezioni e sulla cura della malattia.

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