Etiopia, il premier Abiy lascia il fronte e torna ad Addis Abeba

di claudia

Il premier etiopico Abiy Ahmed ha annunciato il proprio ritorno ad Addis Abeba dopo aver “completato la prima parte” della campagna militare contro le forze del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), definita “Operazione per l’unità nazionale nella diversità”. “Continueremo a combattere oggi e in futuro, fino a quando i nostri nemici non saranno stremati e non abbandoneranno la via dell’odio e della violenza per scegliere la via dell’amore e della pace”, ha affermato Abiy nella dichiarazione pubblicata sul proprio account Twitter.

Il 23 novembre scorso il premier aveva raggiunto le truppe impegnate al fronte contro il Tplf “per guidare il Paese attraverso il sacrificio”. Da allora le forze alleate del governo hanno annunciato la riconquista di diverse città nella regione Amhara, tra cui Lalibela, Dessie e Kombolcha.

Il governo etiopico ha denunciato “il doppio standard” dei Paesi occidentali nella denuncia delle violazioni dei diritti umani commessi nel conflitto in corso da oltre un anno in Etiopia tra il governo e le forze del Tigray.

In un briefing alla stampa sugli ultimi sviluppi del conflitto, la portavoce del premier Abiy Ahmed, Billene Seyoum, ha rimarcato l’assenza di una condanna da parte dei Paesi occidentali e delle organizzazioni internazionali verso “le massicce violazioni dei diritti umani e delle atrocità commesse dalle forze del Fronte popolare di liberazione del Togray (Tplf) nelle regioni Amhara e Afar”. Un silenzio, ha sottolineato la portavoce, che “rende chiaro che c’è un doppio standard quando si tratta delle questioni relative ai diritti umani in Etiopia”.

Billene ha quindi respinto l’accusa mossa da Stati Uniti e diversi altri Paesi occidentali ad Addis Abeba di eseguire arresti “su base etnica e senza accusa”, nell’ambito dello stato di emergenza nazionale dichiarato a inizio novembre in risposta alla temuta avanzata sulla capitale delle forze del Tplf. Gli arresti, ha dichiarato la portavoce, non colpiscono “nessun particolare gruppo di persone in base alla loro identità etnica” e “fare insinuazioni a tale riguardo non solo è fuorviante, ma perpetua anche una narrativa distruttiva”, perché le detenzioni “si basano su prove e testimonianze credibili”.

Due giorni fa il premier Abiy, impegnato da circa due settimana al fronte, ha annunciato la riconquista delle due città strategiche di Dessie e Kombolcha, situate a circa 400 chilometri dalla capitale, finite sotto il controllo del Tplf a inizio novembre. La portavoce ha dichiarato che questa “sconfitta è un duro colpo per il gruppo terroristico che è attualmente allo sbando”, precisando che “una settimana fa sono stati eliminati 12 alti ufficiali militari del Tplf” e che “sono stati arrestati molti combattenti”.

Il Tplf ha smentito che si sia trattato di una sconfitta: il portavoce Getachew Reda ha scritto su Twitter che le forze tigrine “hanno lasciato Kombolcha e Dessie, come previsto dal nostro piano” e che “le cose stanno andando secondo i nostri piani. Il resto è solo circo”. Dichiarazione che conferma quanto dichiarato nei giorni scorsi dal presidente del Tplf, Debretsion Gebremichael, secondo cui “anche se ti ritiri, questo non vuole dire che non si torna indietro a distruggere il tuo nemico”. Perché “questo è il nostro programma: il nemico deve essere distrutto; non c’è altra opzione”.

In Etiopia il conflitto è in corso dal novembre 2020: inizialmente circoscritto nella regione del Tigray, si è esteso nei mesi estivi nelle confinanti regioni Amhara e Afar. Secondo l’Onu sono 9,4 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria.

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