Blackface in Francia, il nuovo libro di Serge Bilé

di Stefania Ragusa

In Italia Serge Bilé è noto soprattutto per il libro, pubblicato dalla EMI nel 2006, che racconta e documenta la presenza di persone nere nei campi di sterminio nazisti. Nel corso della sua carriera, questo prolifico giornalista franco-ivoriano ha affrontato tuttavia moltissime altre questioni rilevanti per la riflessione post-coloniale come, per esempio, quella del razzismo in Vaticano (Et si Dieu n’aimait pas les Noirs: enquête sur le racisme aujourd’hui au Vatican, 2009). Da qualche settimana è disponibile il suo ultimo lavoro, dedicato alla pratica nota come blackface non però “in generale”, bensì in una prospettiva storica focalizzata sulla Francia.

Il volume ha un titolo didascalico: La France et la blackface. Ed è pieno di fatti sorprendenti. Come il tentativo di fuga messo in atto da Francesco I nel 1525 per sfuggire dal carcere di Madrid dopo la sconfitta di Pavia. Il re capetingio finse infatti di essere uno schiavo nero incaricato della pulizia del camino. Oppure i ricorrenti e ludici travestimenti da moro messi in atto da Luigi XIV.

Da un punto di vista cronologico siamo ancora lontani dai Minstrel show statunitensi che trasformarono una pratica relativamente innocente in un’espressione conclamata di derisione razzista. Ricostruendo i passaggi storici successivi si scorgono inevitabilmente però dei nessi anche in Francia, basti pensare alle caricature dei neri presenti nei vaudevilles e al loro intento di dileggi. Al riguardo Bilé cita, molto opportunamente, anche il caso di Malikoko, il re nero immaginario protagonista di una commedia messa in scena al al teatro parigino di Châtelet nel 1919. Un attore bianco interpretava Malikoko, rappresentato in modo grottesco e caricaturale, icona di una supposta minorità africana. Gli spettatori, osserva l’autore, «preferivano ridere di una “presunta barbarie africana” piuttosto che interrogarsi sulla barbarie occidentale, un anno dopo una delle guerre più spaventose che il mondo avesse mai conosciuto. Il Nero fantasticato vicino all’animale, permetteva al Bianco di immaginarsi civilizzato».

Nella sua ricostruzione Bilé parte da molto lontano per arrivare ai casi più recenti, e affida la chiusa del libro a un autore bianco, il sociologo Éric Fassin: «Essere neri non è un travestimento, non è un diversivo o qualcosa che si stacca con l’acqua. Essere neri è una condizione umana, intrappolata in una storia razziale».

La France et la Blackface è disponibile ancora solo in lingua francesce.

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