25/09/14 – Eritrea – Sequestri nel Sinai: un traffico milionario

di AFRICA

 

Di Stefania Summermatter, di ritorno dall’Etiopia

Decine di migliaia di eritrei sono stati sequestrati e torturati nel Sinai. Per la loro liberazione i rapitori chiedono un riscatto fino a 40mila dollari. I tentacoli di questi gruppi criminali si snodano fino in Europa, Svizzera inclusa, dove le autorità federali, però, tacciono. Testimonianze.

«Sentivo le urla dall’altra parte del muro, ma non so quanti prigionieri ci fossero. So solo che nella nostra cella eravamo in dieci. Avevamo le mani e i piedi legati al muro con una catena. C’era anche un bambino piccolo; piangeva sempre». Rahwa* ha 21 anni, un corpo acerbo e gli occhi cerchiati di chi da tempo non dorme più sonni tranquilli. Fuggita dall’Eritrea nell’agosto del 2012, ha cercato rifugio in Sudan. Nel campo profughi di Shagarab, a pochi chilometri dalla frontiera, è però stata sequestrata assieme ad altri migranti e portata nel Sinai egiziano, dove dal 2009 – si è sviluppata una fitta rete di traffico di armi, droga ed esseri umani.

 Le ragioni della fuga –     Dalla sua indipendenza, nel 1993, l’Eritrea è guidata col pugno di ferro dall’ex leader rivoluzionario Isaias Afewerki, 59 anni, formatosi nella Cina maoista. Il suo regime è considerato tra i più repressivi e paranoici al mondo; il paese tra i dieci più poveri al mondo. Nel giugno 2014, il Consiglio ONU per i diritti umani ha deciso di aprire un’inchiesta sulla situazione in Eritrea, una misura adottata finora solo per la Siria e la Corea del Nord.

Accovacciata in un angolo, il capo coperto da un velo bianco, Rahwa fissa immobile la brocca di caffè. Poi riempie le tazze. Cinque: tante quante le vittime del Sinai rinchiuse in questa baracca di cemento, nei sobborghi di Addis Abeba. I suoi amici la incitano a proseguire. «È difficile raccontare ciò che ho vissuto… Mi hanno picchiata e violentata. Torturata con scosse elettriche e plastica bruciata, che facevano colare sul mio corpo. Le vedete le cicatrici?». Mentre urlava, i sequestratori chiamavano la sua famiglia in Eritrea e in Europa, per chiedere un riscatto: 25mila dollari in contanti.

Rahwa è rimasta sei mesi nel deserto del Sinai. Il suo amico Gebre* un anno e mezzo. La sua famiglia non è riuscita a raccogliere i 40mila dollari richiesti. «Pensavano fossi morto e ormai inutilizzabile. Così mi hanno gettato per strada, come un rifiuto, sopra ai cadaveri di altri migranti».

Un business milionario – Il fenomeno della tratta di esseri umani nella penisola del Sinai è stato denunciato più volte: prima dalle organizzazioni non governative, poi dalle Nazioni Unite e infine dal Parlamento europeo, con una risoluzione adottata nel marzo del 2014. Finora, poco o nulla è però stato fatto per combattere il traffico alla radice, afferma Meron Estefanos, coautrice di due importanti studi sul tema.

Eritrei: bersagli privilegiati –     Inizialmente i sequestratori prendevano di mira tutti i migranti provenienti dal Corno d’Africa, ma col tempo si sono concentrati unicamente sugli eritrei. Questa scelta si spiega con la forte presenza di una diaspora eritrea in Europa e in Israele – particolarmente unita e suscettibile di poter pagare il riscatto. Ma è legata anche alla disperazione di questi giovani profughi, che assumono spesso rischi inimmaginabili, e alla scarsa attenzione mediatica e politica a loro riservata.

In pochi anni, questa giornalista e attivista eritrea, naturalizzata svedese, ha raccolto migliaia di testimonianze, le ha portate davanti alle autorità europee ed è diventata un punto di riferimento per i migranti, che si passano il suo numero di telefono di mano in mano.

Stando alle stime di Meron Estefanos, tra il 2009 e il 2013 almeno 30mila persone sarebbero state sequestrate nel Sinai, per un bottino di 622 milioni di dollari. I gruppi criminali coinvolti sarebbero una quarantina. I tentacoli di questo traffico si spingono però anche in Europa, dove le famiglie eritree sono chiamate a pagare i riscatti e dove le reti d’intermediari si occupano di trasferire il denaro, nell’indifferenza quasi generale. (…)

Trasportati come merce umana – I primi anni, i migranti eritrei erano catturati direttamente nella penisola del Sinai, mentre cercavano di attraversare la frontiera israeliana. L’accordo anti-immigrazione tra l’Italia e la Libia aveva infatti reso impraticabile la via del Mediterraneo. Da quando però è caduto il regime Gheddafi (2011) e il governo Netanyahu ha fatto costruire un muro lungo 230 km (2012), la rotta migratoria si è spostata nuovamente verso la Libia e il mare. I profughi sono allora sequestrati in Sudan dalle tribù Rashaida, oppure direttamente in Eritrea, e poi rivenduti ai beduini del Sinai. Il tutto col beneplacito delle forze di sicurezza sudanesi ed egiziane, come denuncia lo stesso Parlamento europeo. (…)Consigliamo la lettura di tutto il servizio  * Stefania Summermatter  – Swissinfo

 

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