Africa fragile

di AFRICA
TANZANIA.FABIO-VEGETTI-8

«Credevamo che tutto ciò fosse inesauribile, ma ci sbagliavamo», scrive Wilburn Smith in un famoso romanzo, e attraverso le parole del suo personaggio, che constata amaramente quanto poco sia rimasto delle immense mandrie di bufali, degli sterminati branchi di elefanti e delle schiere di predatori, riflette sulla dissennata devastazione che l’uomo ha compiuto in Africa in meno di un secolo.

Dall’inizio della colonizzazione fino ai primi del Novecento, l’uomo ha depredato il continente africano delle sue immense risorse naturali sterminando animali, tagliando foreste, devastando il territorio. Poi, un giorno, per correre ai ripari, ha creato i parchi nazionali, le riserve faunistiche, le aree protette consacrate alla “conservazione”.

La conservazione dell’ambiente non è una filosofia o una disciplina: è una punizione. È lo scotto che il genere umano deve pagare come conseguenza di un tragico errore di valutazione, un disperato tentativo di rimediare al disastro che il suo dissennato comportamento ha prodotto. Se osserviamo (a pagina …) le mappe relative alla distribuzione dei più noti animali africani durante il XX secolo e le confrontiamo con quelle odierne, queste ultime sembrano capi d’abbigliamento con i quali si è sbagliato candeggio, sui quali, degli originali colori e disegni, restano soltanto poche sparute macchie.

Simbolo in crisi

L’elefante africano (Loxodonta africana), che dell’Africa è il simbolo, un tempo popolava quasi tutto il continente a eccezione delle più interne aree del Sahara, dell’Atlante e di poche aree costiere; perfino le foreste pluviali dell’Africa centrale erano colonizzate da una sottospecie, l’elefante di foresta (Loxodonta africana cyclotis), adattatasi in dimensioni al limitato spazio concesso dalla fitta vegetazione. Oggi la mappa della distribuzione di questo pachiderma è un drammatico spruzzo di macchioline sparse qua e là, che ricorda soltanto vagamente l’antica area occupata, e le cifre che ne descrivono il declino lasciano sgomenti.

I racconti dei primi cacciatori europei che narrano di pianure interamente coperte dal grigio dei branchi si confrontano con le tragiche cronache moderne: i conservazionisti americani Mark e Delia Owens, per esempio, nel loro libro The Eye of the Elephant raccontano come al loro arrivo nel North Luangwa, in Zambia, gli elefanti, un tempo numerosi, apparissero ormai solamente nel profondo della notte per recarsi all’abbeverata, mentre per il resto del giorno restavano prudentemente nascosti nella foresta, terrorizzati dall’uomo che attraverso il bracconaggio continuava a sterminarli.

Sterminio lungo un secolo

Un altro simbolo del continente, il leone, vive tempi difficili. Un tempo distribuito in gran parte del continente, oggi è limitato a ristrette zone dell’Africa orientale e subequatoriale ed è quasi scomparso da Namibia e Sudafrica (dove la popolazione di esemplari reintrodotti o allevati in cattività supera ormai quella selvatica).

Se parliamo di rinoceronti (Diceros bicornis), invece, ci troviamo di fronte a un vero sterminio e ne è prova il crollo della popolazione di rinoceronti neri, da metà del secolo scorso a oggi, che sfiora il 98%. Presenti un tempo in venticinque Paesi del continente, oggi sopravvivono soltanto in sei di essi, mentre in altri cinque sono stati reintrodotti dopo essersi estinti. Non meglio se la passa il cugino bianco (Ceratotherium simum): i Paesi nei quali è possibile incontrarlo si contano sulle dita delle mani ed è notizia recente (2017) dell’estinzione virtuale (peraltro annunciata) della sottospecie rinoceronte bianco settentrionale (Ceratotherium simum cottoni), che con la morte del suo ultimo maschio presente sul pianeta ha ufficialmente dato l’addio alla progenie.

A rischio estinzione

Il licaone, efficiente predatore della boscaglia, condivideva con il leone – seppur non pacificamente – gli stessi habitat, dal lembo meridionale del deserto del Sahara fino al Capo di Buona Speranza, evitando soltanto le foreste pluviali equatoriali. Oggi, invece, è considerato uno degli animali africani a maggior rischio di estinzione e la sua distribuzione sembra uno piccolo schizzo di vernice sulla tavolozza dell’Africa. Così anche il ghepardo, che un tempo popolava l’intero continente (foreste equatoriali a parte), oggi è presente in pochi Paesi dell’Africa orientale e australe.

L’unico big five a resistere è il leopardo, scomparso dall’Africa settentrionale e dalle aree urbanizzate del continente ma ancora diffuso altrove per merito del suo carattere schivo e della sua sorprendente adattabilità (benché anche la sua popolazione sia in drammatico declino). Il confronto delle distribuzioni geografiche dei più famosi mammiferi non rappresenta un indice esaustivo del danno al patrimonio ambientale africano causato dall’uomo durante gli ultimi due secoli: centinaia di altre specie animali meno conosciute al pubblico, come il pangolino, il bucorvo e addirittura il coccodrillo del Nilo, sono rimaste vittime dell’abuso umano, per non parlare del regno vegetale, con immense aree verdi sottratte agli ecosistemi originali per far posto a centri urbani e coltivazioni, decimando la vegetazione selvatica e sottraendo habitat alle altre forme di vita, con ripercussioni drammatiche sull’ambiente.

Le colpe dell’uomo

Orde di cacciatori occidentali si sono riversati nel secolo scorso in Africa a caccia di trofei da appendere ai muri dei loro macabri salotti; in tempi più recenti, spietati bracconieri si sono avvicendati al soldo di trafficanti senza scrupoli abbattendo animali protetti e attentando alla vita dei loro guardiani; governi ottusi hanno svenduto il patrimonio naturale dei loro Paesi e sanguinosi conflitti postcoloniali hanno decimato la fauna, mentre avide mani da ogni angolo del globo hanno sottratto terre agli habitat naturali per coltivare i propri interessi economici.

L’elenco delle malefatte potrebbe continuare per centinaia di pagine, spaziando dalle emissioni dannose al surriscaldamento dell’atmosfera, fino alla questione dell’olio di palma, ma il ritratto dell’uomo moderno non cambierebbe granché: per l’ambiente egli assomiglia più a un tumore maligno che a un normale inquilino, e non soltanto a causa della sua ingordigia e del suo egoismo ma anche per la sua “epidemica” diffusione. Soprattutto negli ultimi due secoli, la popolazione umana si è espansa tanto e così rapidamente da erodere l’ambiente e sottrarlo alle altre forme di vita. Oggi la maggiore causa di estinzione di specie animali e botaniche è la riduzione dell’habitat per effetto dell’urbanizzazione, dell’espansione delle coltivazioni e della competizione diretta o indiretta con l’uomo. Prima o poi, i danni si riverseranno su di noi. Se un sistema è sostenibile, si conserva; se la sostenibilità viene a mancare e l’equilibrio si rompe, il sistema si consuma, si deteriora e muore. Che succederà all’uomo quando il sistema si sgretolerà sotto la sua pressione?

(testo di Gianni Bauce – foto di Fabio Vegetti)

 

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