Abba Mussie, un libro per raccontare il suo impegno con i migranti

di Enrico Casale
mussie zerai

migranti eritreiIl suo telefono cellulare è sempre acceso. I migranti lo sanno e lo chiamano quando sono in difficoltà. Si trovino nelle prigioni libiche o in difficoltà su un gommone nel Mediterraneo, in mezzo al deserto o rapiti dai predoni del Sinai. Don Mussie Zerai, abba Mussie, risponde sempre. Con la serenità della gente dell’Altopiano eritreo e una forte fede in Dio, riesce a risolvere casi intricati. Si mette in contatto con la Marina militare italiana perché avvii missioni di soccorso. Lavora insieme alle Ong per sostenere i migranti vittime della tratta.

Lo hanno soprannominato «L’angelo dei profughi». È stato candidato al Premio Nobel per la Pace nel 2015 e ha ricevuto decine di premi. La prestigiosa rivista «Time» lo ha definito «Pioniere» nel suo campo. Ma chi lo conosce, sa che abba Mussie non lavora per essere premiato. Lui, da sempre, è vicino ai rifugiati perché lui stesso ha vissuto quell’esperienza quando, a soli 17 anni, ha lasciato il suo Paese, l’Eritrea, per arrivare in Italia. Qui da noi ha sempre cercato di aiutare i suoi connazionali e gli africani in generale. Mentre studiava Teologia e Filosofia a Roma, li andava a trovare alla Stazione Termini dove si riunivano. Poi nei centri di prima accoglienza. Poi, ancora, nelle periferie dove andavano ad abitare. Abba Mussie non si limitava e non si limita ad aiutarli. Denuncia ingiustizie, porta alla luce tragedie, punta il dito contro silenzi e omissioni.

migranti morti in mareOggi la sua esperienza è raccolta in un libro: «Padre Mosè» (Giunti, 2016), scritto a quattro mani con il giornalista Rai Giuseppe Carrisi. Abba Mussie parla della sua vita insieme ai migranti. Un’anticipazione di questo racconto è stata la testimonianza che abba Mussie ha fatto nel corso dell’ultimo workshop di «Africa», quando ha parlato del dramma delle migrazioni e del suo essere punto di riferimento per migliaia di ragazzi disperati che lasciano l’Africa. Ma perché lo fa? «È una sfida da accettare senza esitazioni, perché è in gioco il modo stesso dello ‘stare insieme’ che si è data la democrazia. Se non si accetta questa sfida, si rischia di imboccare una strada in ripida discesa, alla fine della quale c’è il buco nero della negazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Perché oggi tocca ai profughi e ai migranti. E domani?».

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