Ma chi sono i migranti?

di Enrico Casale
Un barcone di migranti

Migranti a LampedusaDall’inizio dell’anno sono morti 1.600 migranti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. La strage di ieri, se i numeri saranno confermati, farà schizzare ulteriormente in alto questo numero. Si arriverà a 2.300, forse 2.500 persone. E non è ancora arrivata l’estate, la stagione in cui si registra il maggior numero di «viaggi della speranza». Ma chi sono questi migranti che rischiano la vita per arrivare in Europa? Che cosa li spinge a intraprendere un cammino di mesi, a volte di anni, per raggiungere la Fortezza Europa?

In maggioranza sono ragazzi e ragazze che fuggono da guerre, dittature, violazioni di diritti umani. Difficilmente hanno più di trent’anni. Quasi sempre hanno fatto buoni studi e molti di essi parlano un’altra lingua oltre alla loro. E appartengono a quella che noi definiremmo «classe media», i poveri non possono permettersi di fuggire perché non hanno le risorse.

Questo profilo, tracciato da alcuni sociologi delle migrazioni, non è casuale, ma è il frutto di un accurato processo di cernita. Le comunità di origine effettuano infatti una vera e propria selezione fra i giovani. A partire sono solo quelli più forti fisicamente e che possono quindi avere buone opportunità di riuscire a resistere a un tragitto lunghissimo e rischioso che li porterà ad attraversare deserti, a soffrire la fame, a subire angherie e violenze. Un viaggio che durerà mesi (è quindi risibile il timore che questi migranti potessero portare l’ebola in Europa, perché l’Ebola ha un’incubazione di 21 giorni ed è altamente letale: chi l’avesse contratto non riuscirebbe ad arrivare sulle coste libiche).

Su questi ragazzi le comunità investono tutte le loro risorse economiche (risparmi di una vita, guadagni di piccole attività, ecc.). La speranza è che questi giovani, se è quando arriveranno in Europa, potranno mantenere i nuclei famigliari di origine. Alcuni esperti delle migrazioni parlano di un vero e proprio «investimento di impresa». Il linguaggio è un po’ brutale, ma rende l’idea di una comunità che investe nell’unica risorsa che ha a disposizione, i giovani, per garantirsi un futuro.

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