Le città cancellano la loro storia

di claudia
freetown

Molte capitali africane stanno cambiando volto. Ma il restyling voluto dalle autorità prevede l’abbattimento di palazzi o quartieri storici considerati obsoleti, fuori moda, non decorosi o addirittura imbarazzanti per il passato che rappresentano e ricordano. Ma ruspe e picconi infliggono ferite insanabili

di Federico Monica

Lo scorso luglio le autorità del Cairo hanno iniziato la rimozione e la distruzione delle ultime awamat, case galleggianti che da sempre punteggiano il corso del Nilo e sanciscono il rapporto unico fra la capitale egiziana e il suo fiume. Risalenti all’epoca della dominazione ottomana, questi caratteristici edifici in legno colorato a due piani e dalle grandi terrazze sarebbero stati demoliti in quanto privi di permessi e autorizzazioni, oltre che per lanciare un progetto di riqualificazione e “abbellimento” del lungofiume.

Il mito del piccone risanatore sembra essere tornato in voga in Egitto: soltanto pochi mesi fa, per far posto a una nuova grande superstrada è stata abbattuta una porzione della cosiddetta “Città dei Morti”, l’enorme e antichissimo cimitero monumentale, con mausolei risalenti a secoli fa molti dei quali occupati e abitati da migliaia di famiglie. Un luogo unico al mondo, in cui convivono un ancestrale culto dei morti e scene di vita quotidiana e che purtroppo anno dopo anno viene ridotto con la scusa dello sviluppo urbano e delle infrastrutture.

Purtroppo ciò che accade nella sterminata capitale egiziana è soltanto un esempio fra i tanti nel continente: da Dakar a Dar es Salaam edifici storici, architettura vernacolare (tipica/tradizionale), luoghi simbolici e tipici lasciano sempre più spesso il posto ad anonimi palazzi in cemento, frutto dell’inarrestabile crescita urbana e della conseguente speculazione edilizia. A Freetown, le secolari case krio (foto di apertura) – edifici in legno con verande e abbaini ispirati all’architettura del Mississippi e unici nel loro genere – sono sempre di meno, mentre ad Addis Abeba fra distruzione di edifici modernisti e dubbie ristrutturazioni il fenomeno è diventato così allarmante che gruppi di architetti e storici hanno iniziato una serie di campagne e battaglie sempre più aspre per proteggere ciò che rimane delle testimonianze storiche della città.

Centro storico di Asmara, Eritrea

Fatti che mettono in evidenza il controverso rapporto di molte metropoli africane con la loro storia e il loro patrimonio architettonico e culturale. Nulla di nuovo sotto il sole, basti pensare alle devastazioni subite dal territorio italiano a partire dal boom economico per arrivare fino ai nostri giorni, eppure in questi contesti caratterizzati da ritmi di crescita vertiginosi e istituzioni non sempre solide il fenomeno della distruzione del patrimonio storico è particolarmente evidente e preoccupante. Non si tratta, però, soltanto di mera speculazione edilizia: la diatriba è anche “culturale” e contrappone, sia fra gli addetti ai lavori che fra le persone comuni, chi aspira a una città moderna ed efficiente a chi riconosce l’importanza di preservare le tracce del passato.

Un passato che in alcuni casi è pesante. Molto spesso gli edifici storici risalgono all’epoca coloniale, per esempio: tutelarli e preservarli significa anche, per forza di cose, perpetuare la memoria di epoche di oppressione. È così che palazzi storici o interi quartieri vengono percepiti da investitori e autorità locali come inutili orpelli di un tempo che fu, con un’immagine mediocre e fatiscente ben lontana dall’idea di città moderna fatta di strade a misura di auto, edifici alti, vetri riflettenti. Perdere edifici storici o stravolgere luoghi urbani ormai consolidati è però molto spesso una ferita difficile da sanare: si rischia di creare città senza peculiarità, senza un’anima. Omologate e appiattite su stili di vita, forme e spazi anonimi e mediocri, una brutta copia di modelli sviluppati altrove, poco sostenibili sia a livello sociale sia a livello ambientale.

Esistono eccezioni? Sì. Asmara, per esempio, ha da tempo tutelato il proprio centro storico riuscendo persino a ottenere il riconoscimento Unesco; nella stessa direzione sta andando, sparsa per tutto il continente, una nuova generazione di architetti, urbanisti e tecnici africani, sempre più attenti alla riscoperta delle tradizioni locali in chiave contemporanea e a preservare e perpetuare le risorse già presenti. Una sfida difficile, sia contro il tempo che contro interessi economici enormi, ma quanto mai necessaria, dal momento che il patrimonio storico e culturale non è semplicemente un edificio, una piazza o una bella architettura da mantenere. È molto di più: è l’anima più profonda e non negoziabile di una città.

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