Golpe militari a ripetizione, fallimento e tradimento della politica

di claudia
militari burkinabé

Gli avvenimenti che hanno caratterizzato il 2021 definiscono un’Africa che torna a regolare le controversie attraverso colpi di stato: Mali e Guinea. Il 2022 si è aperto con un golpe in Burkina Faso, e un tentativo in Guinea Bissau. Le ragioni di questa presa di potere da parte dei militari sono molteplici, ma drammaticamente definiscono una simmetria e un “asse golpista” che attraversa, per lo meno, l’Africa occidentale

di Angelo Ferrari

“In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri”. Questa frase non è stata pronunciata da un africano qualunque, ma da Nelson Mandela. L’uomo che ha ridato una nuova speranza al Sudafrica e ai neri di quel paese, senza per questo abbandonarsi alla vendetta e, forse, ne avrebbe avuto tutti i motivi. La sua politica, invece, si è basata proprio su questa antica filosofia di vita africana, che unisce tutti i bantu dell’Africa subsahariana. Una regola di vita basata sulla compassione e sul rispetto dell’altro. Si usa adire Umuntu ngumuntu ngabantu, cioè “io sono ciò che sono in virtù di ciò che siamo tutti”.

È ancora possibile, oggi, rifarsi a un’antica filosofia per risolvere le controversie che attraversano il continente? È antistorico ritrovare radici perdute? Sono domande che nella realtà attuale trovano una risposta sconsolante: no. Gli avvenimenti che hanno caratterizzato il 2021 definiscono un’Africa che torna a regolare le controversie attraverso colpi di stato: Mali e Guinea. Il 2022 si è aperto con un golpe in Burkina Faso, e un tentativo in Guinea Bissau, meglio dire “un misterioso tentativo di colpo di Stato”.
Le ragioni di questa presa di potere da parte dei militari sono molteplici, ma drammaticamente definiscono una simmetria e un “asse golpista” che attraversa, per lo meno, l’Africa occidentale. Realtà economiche e sociali drammatiche si accavallano a insoddisfazioni ed egoismi di parte così dirompenti che possono essere risolti, almeno sembra, solo attraverso la forza militare. La filosofia non alberga tra i protagonisti dei vari golpe, che con un colpo di spugna hanno cancellato ogni ordine costituzionale e ogni briciola di democrazia, fragilissima, per carità, ma pur sempre un punto di partenza per costruire un futuro. Ora quei paesi si apprestano a vivere una transizione infinita. In Mali, per esempio, nel mese di febbraio dovevano tenersi elezioni libere, così da riportare il paese nelle mani dei civili e di coloro che, legittimamente, hanno manifestato, protestato per uno stato più inclusivo e giusto. E invece non accadrà. I golpisti hanno prolungato la transizione per almeno cinque anni. Così accade in Guinea e succederà in Burkina Faso.


Un’Africa occidentale attraversata da colpi di stato, dalla paura che ciò possa essere contagioso, e da un sentimento anti-francese che ha tutte le ragioni per manifestarsi, vuoi per la forte dipendenza che le élite di quei paesi hanno con la Francia, vuoi per l’arroganza che Parigi continua a manifestare: non è stata per nulla in grado di creare empatia con le popolazioni di quei paesi. Ma non solo. La forza militare dispiegata in quei territori per fronteggiare il terrorismo jihadista non ha portato nessun beneficio alle popolazioni in termini di sicurezza. Anzi. Il bilancio è fallimentare. I jihadisti hanno conquistato pezzi di territorio espandendo la loro influenza. L’intervento militare, come un’unica opzione, non è stato accompagnato da ragionevoli ed efficaci piani di sviluppo economico. Tutto è rimasto così come era, con l’aggravante dell’insicurezza. Il sentimento anti-francese non poteva che dilagare e con esso la ricerca dell’uomo forte capace di garantire una svolta significativa. Invece, sono arrivati altri militari. I colonnelli hanno preso il potere cavalcando, anche, il sentimento anti-francese, ma si sono trovati, da subito, nella necessità di “chiedere aiuto”. Via la Francia e gli occidentali, ma per rimpiazzarli con i mercenari della Wagner, senza troppi giri di parole sono andati a Mosca a mendicare sostegno nella “lotta al terrorismo”, evidenziando l’incapacità di far fronte alle sfide dei loro paesi, una pochezza inquietante nel definire strategie politiche che mettano al centro il bene delle popolazioni che hanno la pretesa di governare. Dunque, dalla pentola alla brace.


Il colpo di stato in Burkina Faso, poi, ha inferto un’altra ferita nel sentimento di quel popolo. Uno dei primi atti dei golpisti sarebbe stato – il condizionale è d’obbligo perché le notizie che arrivano sono contraddittorie – liberare il generale Gilbert Diendéré, che già nel 2015 instaurò un regime militare ma, soprattutto, è anche uno degli imputati eccellenti nel processo Sankara. Processo che, tra l’altro, è stato sospeso perché “le garanzie previste dalla Costituzione non esistono più”. La memoria storica e filosofica si è dissolta in un istante. La filosofia Ubuntu non è il mondo dei sogni, ma ha inciso non solo sul piano sociale, ma anche su quello politico, giuridico, religioso ed economico.


L’amico e collega Raffaele Masto, anni fa scriveva: “Gli africani devono superare un devastante complesso di inferiorità, devono valorizzare sé stessi, hanno bisogno di avere una prospettiva. L’Africa ha bisogno di giustizia”. Disperdere la memoria può essere fatale. Oggi, tuttavia, i militari al potere stanno dipingendo un altro quadro. Insicurezza e instabilità che regnano in Mali, Burkina Faso e Guinea, inevitabilmente, contageranno l’intera Africa occidentale.

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