Gabriele Ferrari | Burundi come prima peggio di prima

di Pier Maria Mazzola
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Coronavirus negato, elezioni manipolate, Paese silenziato. (Imprecisato il numero dei prigionieri d’opinione). Tra i pochi che hanno avuto il coraggio di parlare dopo le presidenziali, i vescovi, che denunciano «molte irregolarità». L’analisi è dell’ex superiore dei saveriani, già missionario in Burundi, un Paese che continua a seguire da vicino.

Mentre in Italia la crisi ormai globale del coronavirus sembra finalmente rallentare e forse esaurirsi, è normale guardare all’Africa e all’America Latina, domandandosi quale sia l’andamento del contagio in quei continenti.

Le notizie dall’Africa sono molto frammentarie, tanto che viene spontaneo il sospetto che si voglia nascondere l’entità e la diffusione del contagio. In Burundi, ad esempio, il covid-19 c’è senza dubbio, ma si dice che sia ridotto a poco rispetto all’estensione del contagio in Europa e in America Latina. Sarebbe bello poter credere a questa affermazione, ma non è possibile.

I casi ufficialmente accertati di coronavirus in Burundi, un Paese di 7 milioni di abitanti, sono 42! Una cifra che nessuno ritiene attendibile, mentre la gente locale sa che i casi sono molti di più e molto più alto è il numero delle vittime del contagio, curate – quando lo sono – come casi di normale influenza stagionale o al massimo di malaria.

Quanta gente sarà morta sulle colline senza che neppure si sia tentato di curarli? In Burundi, dove non c’è un sistema sanitario nazionale, non si sono fatti che pochi tamponi, neppure nel miglior ospedale della capitale, perché le autorità non hanno permesso l’importazione dei reagenti necessari per fare i tamponi, dichiarandoli non necessari dato che «nel Paese non c’è la pandemia». Affermazioni che fanno inorridire chi le viene a sapere e che fanno sospettare una politica di… sfoltimento della popolazione.

Così pure per le necessarie precauzioni e le disposizioni per evitare il contagio: «Si fa qualche cosa tanto perché non si dica che non si fa nulla, quando altrove ci sono norme draconiane per evitare il diffondersi della pandemia. Qui sembra che tutto questo si faccia tanto per assomigliare in qualche misura ai Paesi che hanno vissuto e stanno ancora vivendo questa tragedia», scrive un missionario.

Tanto per l’epidemia, come per l’esito delle ultime elezioni e la loro contestazione, commenta ancora lo stesso, «silenzio assoluto. Tutto è chiuso: frontiere con il Rwanda, Tanzania e Rd Congo, aeroporto chiuso da quasi due mesi e non si sa fino a quando… La gente soffre e i prezzi delle cose più elementari sono ormai alle stelle. Che il buon Dio ce la mandi buona».

Le elezioni presidenziali e legislative

In questo contesto si sono svolte le elezioni presidenziali e legislative del 20 maggio, delle quali si parlava ormai da più di un anno. A tutti è sembrata una scelta di tempo sbagliata, segno di volontà di potenza e di scarsa attenzione per la salute della gente.

Si trattava di eleggere il nuovo presidente della Repubblica dopo il lungo mandato del presidente Pierre Nkurunziza al potere dal 2005. Questi aveva fatto sapere da tempo che non si sarebbe presentato per un ulteriore mandato, ma si è preparato il successore, il generale Évariste Ndayishimiye. Questi, candidato del partito di governo Cndd-Fdd, ha vinto con il 68,72% contro il 24,19% ottenuto da Agathon Rwasa, candidato del Cnl e suo principale sfidante nella competizione. Questi sono i dati forniti dal Comitato elettorale nazionale indipendente (Ceni), che indipendente è… per modo dire.

Il partito di Rwasa ha subito contestato il risultato delle elezioni, parlando di «mascherata elettorale» e di «scrutinio non credibile», dato che, secondo i conteggi fatti dal partito di Agathon Rwasa, il Cnl ha ottenuto il 58,98% dei voti contro il 34,63% del Cndd-Fdd. Per questo il partito di Rwasa ha annunciato ricorso alla Corte costituzionale e denunciato l’arresto arbitrario di centinaia di suoi membri, sia durante la campagna elettorale che durante le operazioni di voto e di conteggio.

Contestualmente alle presidenziali, si sono tenute in Burundi anche le legislative, nelle quali il partito di governo ha superato la maggioranza assoluta (68% dei voti). Se la Corte respingerà (come è facile prevedere) il ricorso dell’opposizione, il 52enne Ndayishimiye inizierà il suo mandato, rinnovabile solo una volta, ad agosto.

Évariste Ndayishimiye succede dunque a Pierre Nkurunziza che, dopo 15 anni di presidenza, non si è ricandidato ma rimarrà comunque una figura chiave nell’amministrazione e nella politica del Paese, perché è stato proclamato «suprema guida al patriottismo». Questa nomina impone di consultarlo per tutte le questioni di rilevanza nazionale.

Nel 2015 l’annuncio di Nkurunziza di volersi candidare per un terzo mandato aveva provocato una profonda crisi politica, con oltre mille morti e la fuga di 40mila persone. A Nkurunziza va riconosciuto il merito di aver concluso la lunga guerra civile che dal 1993 aveva insanguinato il Paese, ma con la sua terza candidatura alla presidenza ha dimostrato di essere attaccato al potere, al quale non rinuncia neanche ora, anche se sembra aver fatto un passo indietro, ritagliandosi però una figura di «padre nobile» della Repubblica, con la quale avrà quindi tale influenza sul nuovo presidente da renderne pleonastica o solo formale la figura istituzionale.

La reazione nel Paese? 

Scrive un osservatore: «Nessuna sorpresa e nessuna reazione. Silenzio assoluto. Nessun commento e un solo invito, a chi non accetta i risultati, a rivolgersi agli uffici competenti». Non è necessario ricordare qui le minacce e le violenze che hanno preceduto e accompagnato queste elezioni. «Niente di nuovo sotto il sole di un regime che, guardando il grado di simpatia o meglio di antipatia che gode, riesce a superare anche quello riservato a Buyoya», dice lo stesso osservatore politico.

Alla gente semplice, ancora una volta presa in giro, resta solo il silenzio e il tempo per leccarsi le ferite procurate da coloro che hanno abbracciato il regime usando la violenza fisica e verbale, persone della stessa etnia, che hanno frequentato gruppi di Azione cattolica e vanno ancora in chiesa, abitano gli stessi quartieri o sulle medesime colline, che sono magari parenti o addirittura fratelli di sangue.

Sono centinaia le persone imprigionate per motivi politici e chi potrà dire di sapere quante sono di fatto? Così è difficile predire se ci saranno strascichi… Qualcuno avrà il coraggio di ripetere o anche solo di ricordare il coraggioso messaggio preelettorale dei vescovi burundesi?

I quali vescovi, dopo aver conosciuto l’esito delle elezioni hanno avuto il coraggio di parlare chiaro. Il 26 maggio hanno emesso un comunicato in cui parlano dei 2.716 osservatori designati dalla Conferenza episcopale del Paese, sulla scorta dei quali concludono che «le elezioni si sono svolte in generale nella calma», ma denunciano «molte irregolarità per quanto concerne la libertà e la trasparenza del processo elettorale, come pure per quanto concerne l’equità del trattamento dei candidati e degli elettori, elementi che dovrebbero caratterizzare elezioni veramente democratiche».

Di seguito, i vescovi danno una lista di dieci irregolarità constatate dagli osservatori e concludono domandandosi «se queste irregolarità non pregiudichino i risultati che devono essere proclamati» (lo saranno il prossimo 4 luglio p.v.). Condannano, inoltre, tutte le ingiustizie e ogni ricorso alla violenza invitando chi si sente ingiustamente trattato a ricorrere alle legittime istanze.

Il comunicato si conclude con un «appello rivolto alla popolazione a porre la propria fiducia nel Signore, che rimane l’unico Signore della storia e a mantenere la calma».

Gabriele Ferrari per SettimanaNews

 

 

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