Calcio, il caso del tesseramento di minori stranieri in Italia

di claudia

A stagione calcistica già avviata rimangono gli ostacoli al tesseramento dei giovani di origini straniere, discriminati ancor prima di scendere in campo. Intervista a Giuliano Facchinetti, vicepresidente del St. Ambroeus FC, squadra di calcio milanese portabandiera di un modello di squadra multiculturale e votato alla diversity

di Domenico CannizzaroNuoveRadici.world

Con l’avvio della stagione calcistica e di tutti i campionati di calcio, inclusi quelli a livello dilettantistico, emerge fin da subito una situazione discriminatoria per chi non ha la cittadinanza italianase per un italiano occorrono solo pochissimi documenti da inviare al comitato regionale, lo stesso non si può dire per gli stranieri. Spesso arrivati in Italia con il sogno di giocare a calcio, si devono confrontare con tempistiche più lunghe e, soprattutto, con un iter burocratico complesso e una documentazione richiesta molto vasta.

Il primo ostacolo è il luogo di approvazione del tesseramento: per gli italiani viene infatti approvato dal comitato regionale d’appartenenza, mentre per gli stranieri già maggiorenni bisogna recapitare la richiesta alla FIGC nazionale a Roma. Discorso ancora più ampio e complicato è quello che riguarda i minori stranieri: in questo caso infatti, bisogna rivolgersi prima al comitato nazionale che, a sua volta, trasmetterà tutto alla sottocommissione minori della FIFA, la quale deciderà se approvare o meno la richiesta.

Tesseramento di minori stranieri: l’Ambroeus FC

Su questa tematica abbiamo intervistato Giuliano Facchinetti, vicepresidente del St. Ambroeus FC, squadra di calcio milanese che milita in terza categoria e portabandiera di un modello di squadra multiculturale e votato alla diversity. Il St. Ambroeus è infatti composto quasi esclusivamente da ragazzi stranieri. Spiega Facchinetti: «Tesserare un minore straniero è ormai vietato dalla FIFA, ma è qualcosa che ha dell’assurdo. Sto provando da circa un anno e mezzo a tesserare un ragazzo di 15 anni, desideroso di giocare a calcio, ma è ancora tutto fermo anche a causa del Covid. Confido nella competenza e nell’attenzione ai dettagli degli organi FIGC, sperando che il caso si risolva nel migliore dei modi».

La FIGC è infatti molto attenta e vicina al tema, al punto da chiedere ai minori stranieri non accompagnati (ma in generale ai minori stranieri) un’attestazione che dimostri che il ragazzo sia iscritto a scuola nell’anno in corso del tesseramento e che abbia frequentato l’istituto anche l’anno prima: punto molto importante per attestare che il minorenne sia tutelato e non in una condizione di sfruttamento.

Il tesseramento (quasi) impossibile per i minori stranieri

Per portare a termine il tesseramento di un calciatore di origini straniere, ma già maggiorenne, basta allegare il permesso di soggiorno in corso di validità a tutti i documenti richiesti anche per gli italiani e inviare la richiesta alla FIGC a Roma. Il problema reale riguarda invece i minori, a cui da regolamento la FIFA vieta ormai da qualche anno il tesseramento. Esistono infatti norme che impongono al minore di poter giocare solo all’interno della federazione del Paese in cui è nato, salvo alcune eccezioni, spesso non ritenute valide.

Eccezioni che per esempio riguardano il luogo in cui il minore vive: per far sì che il tesseramento sia possibile, il giocatore deve abitare a non più di 50 km dal confine e il club trovarsi a non oltre 50 km dallo stesso. Il minore può anche essere tesserato, in secondo luogo, se vive in un Paese, diverso da quello di nascita, con i propri genitori, ma deve dimostrare che questi non siano arrivati in Europa esclusivamente per far giocare il figlio a calcio. Un’ultima eccezione riguarda invece lo status di rifugiato, altra condizione valida per ottenere il via libera per il tesseramento: eccezione che ha sicuramente una propria logica, ma che spesso rimane fine a sé stessa. Nella maggior parte dei casi infatti i minori arrivano qui intorno ai 16 anni e, viste le tempistiche abbastanza lunghe per ottenere lo status di rifugiato, spesso è più conveniente tesserarsi dopo aver raggiunto la maggiore età, strada più breve e più sicura.

La “tratta” dei giovani calciatori

Ma perché la FIFA ha introdotto un regolamento così rigido? Come già affermato, è un regolamento abbastanza discutibile, ma creato per un obiettivo ben preciso: eliminare il fenomeno della “tratta” di giovani ragazzi, convinti spesso da pseudo-procuratori ad abbandonare il proprio Paese per giocare a calcio in Europa. Nella maggior parte dei casi però – nel momento in cui non risultano più essere fonte di guadagno per i procuratori – questi ragazzi vengono abbandonati, lasciati da soli e senza nulla in un posto a loro sconosciuto.

«La FIFA dovrebbe sicuramente rivedere qualche punto del regolamento, ma è chiaro che sia intervenuta su un problema grave, esistente ancora in tempi recenti» spiega Giuliano Facchinetti, «La soluzione però non è certamente vietare il tesseramento, ma si potrebbe agire in modo diverso: magari assicurandosi che il ragazzo sia in una condizione di vita adeguata, che vada a scuola e che ci sia qualcuno che si prenda cura di lui, che siano i genitori o terzi».

Occorrerebbe dunque rendere più semplice l’iter per il tesseramento, modificando alcune norme molto rigide all’apparenza, ma poi facilmente aggirabili da chi agisce in malafede. Non poter aiutare la propria squadra, non sentirsi parte di un gruppo a tutti gli effetti e non poter contribuire ai successi di un team penalizza il percorso d’inclusione dei minori in un nuovo Paese. Lo sport è infatti inclusione e, anche e soprattutto in questo contesto, l’etichetta di “straniero” non può rappresentare un ostacolo per la socializzazione.

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