Una nuova era per l’Africa?

di claudia

di Alfredo Somoza

È passata inosservata nella stampa internazionale Occidentale, la presa di posizione dell’Unione Africana al recente vertice di Addis Abeba, ferma nel continuare a sanzionare ed escludere dall’organizzazione i Paesi teatro di recenti colpi di stato, fino a quando non verrà ristabilita la democrazia, a strenua difesa di questo valore politico. A differenza del passato, ora è l’associazione degli Stati africani ad alzare la voce.

Di solito, le clausole democratiche inserite negli accordi internazionali sono solo retorica. Ma forse qualcosa sta cambiando. Il recente vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba ha affrontato un tema che ha spiazzato gli osservatori, che si aspettavano un’agenda tutta focalizzata sul tema sicurezza, in particolare sull’avanzata jihadista nel Sahel, e sull’emergenza alimentare determinata dal conflitto russo-ucraino. Invece l’UA, l’organismo che rappresenta i 54 Stati sovrani del continente più la Repubblica Sahraui, occupata dal Marocco, ha messo al centro dell’agenda la democrazia.

Negli ultimi cinque anni in Africa si sono registrati 15 colpi di Stato, in Paesi come Burkina Faso, Mali, Gambia, Guinea, Ciad e Sudan. Non che, in passato, l’Africa fosse immune da problemi di questo genere, ma gli eventi golpisti non erano mai stati così frequenti come in questi ultimi anni, e più precisamente da quando in Africa operano i mercenari del gruppo russo Wagner, che sono stati artefici diretti del rovesciamento di vari governi.
L’Unione Africana ha confermato che i Paesi nei quali la democrazia è stata sovvertita continueranno a essere sospesi dall’organizzazione e i dirigenti golpisti a essere sanzionati, come accaduto a quelli del Burkina Faso, del Mali e della Guinea, finché il potere tornerà a chi risulti vincitore delle elezioni.

Sfida a Pechino

Per quanto la qualità della democrazia africana sia molto bassa, e i processi elettorali poco partecipati e spesso poco controllati, la posizione ferma dell’Unione Africana segna un prima e un dopo rispetto alla tolleranza in materia politica. Ed è un gesto controcorrente, perché la maggior parte di questi Paesi ha forti o fortissimi legami economici e politici con la Cina, che di certo non promuove la democrazia nell’area, anzi. Per questo motivo, la fermezza dell’Unione Africana va letta come un gesto di sfida al potere esercitato in Africa da Pechino e anche dal suo alleato russo. Tale presa di posizione risulta coerente con l’altro punto importante emerso dal vertice: la dichiarata intenzione di aumentare gli scambi interni al blocco africano fino al 60% del totale, un dato che equivale alla soglia attuale degli scambi all’interno dell’UE. C’è molto da fare, in tema di dazi e barriere doganali, per raggiungere un livello simile partendo dall’attuale 15%, ma la strada è tracciata, e va in direzione di una maggiore indipendenza del continente dai compratori esteri.

Un rinnovato impegno democratico

Tutto questo attivismo e rilancio del multilateralismo africano va letto, infine, anche come risposta alle avances arrivate da Occidente. Il segretario dell’ONU António Guterres, presente ad Addis Abeba, si è spinto ad auspicare che un Paese africano possa entrare nel Consiglio di Sicurezza come membro permanente.
Rinnovato impegno democratico, aumento degli scambi interni per ridurre la dipendenza dalla Cina, protagonismo internazionale attraverso l’ONU: sembra l’agenda di una nuova era per l’Africa. A differenza del passato, quando in questo continente il copione era scritto esclusivamente dagli ex colonialisti, ora è l’associazione degli Stati africani ad alzare la voce. È una grande notizia, che ovviamente da noi non è stata registrata, ma che ci racconta come i protagonismi regionali si stiano moltiplicando e come la governance futura del pianeta non sarà detenuta esclusivamente da una o due potenze, bensì da una molteplicità di Paesi e blocchi omogenei. Sarà un mondo molto più complesso da gestire, ma sicuramente più rispettoso dei pesi reali degli Stati, definiti considerando l’economia, la demografia e la geografia, e non soltanto sulla base del possesso di ordigni nucleari.

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