S. Corry e F. Casella (Survival) ▸ Un modello di conservazione autodistruttivo

di Pier Maria Mazzola

L’ultima presa di posizione di Survival International denuncia il modello di conservazione “colonialista”, che danneggia l’ambiente e si scontra con le comunità locali. Serve un approccio diverso – umile ed equo –, che riconosca la competenza dei popoli autoctoni in materia ambientale e offra loro risorse per mantenere il controllo delle proprie terre.

Donna Baka, Camerun © Selcen Kucukustel / Atlas

La conservazione “fortezza”, o “colonialista”, danneggia l’ambiente perché sfratta delle persone dalle terre che hanno amministrato con sapienza per generazioni. Sono loro ad averle modellate per aumentarne la biodiversità in modi che gli esterni solitamente non comprendono.

Spesso vengono costruite infrastrutture turistiche per favorire certe specie – per lo più i grandi mammiferi – a spese della biodiversità, che ne risente. Tra le innumerevoli conseguenze ci sono le masse di veicoli turistici che disturbano gli animali e li abituano alla presenza costante degli esseri umani (facilitando così il bracconaggio). Ma non è tutto. I dispositivi di localizzazione installati sugli animali spesso risultano per loro letali; mentre sottrarre agli erbivori i loro predatori naturali significa mettere a rischio la loro specie e le altre, perché le mandrie crescono in maniera sproporzionata rispetto alla capacità dell’ecosistema di fornire loro cibo a sufficienza.

All’interno delle aree protette vengono spesso intraprese altre attività a scopo di lucro, tra cui le attività minerarie, la caccia ai trofei e il taglio del legname. E spesso ciò accade in collusione con le grandi organizzazioni della conservazione, finanziate da queste stesse industrie.

Gli ex abitanti subiscono abusi, spesso gravi, sia che tentino di entrare nelle aree protette (anche solo per svolgervi attività innocue come la raccolta di piante medicinali), sia che non ci provino neppure, e questo finisce con il demotivarli ulteriormente rispetto alla conservazione dei loro ex ambienti.

Sfrattati dalle loro terre, e senza più fonti di sostentamento, i locali diventano più vulnerabili ai tentativi di guardie e funzionari corrotti di cooptarli o costringerli ad assisterli nel bracconaggio finalizzato al commercio illegale di fauna selvatica. I guardaparco commettono abusi nei confronti delle comunità locali e, al tempo stesso, ricavano denaro dal bracconaggio. Il circolo vizioso dell’antagonismo cresce, e richiede sempre più violenza e investimenti per mantenere fuori la popolazione originaria.

Ciò nonostante, in molti luoghi le comunità locali stanno facendo sentire sempre più la loro democratica voce ribellandosi a questo modello colonialista di conservazione, che contiene in sé i semi della propria distruzione. Se non cambierà, dando priorità ai diritti delle persone, questo modello collasserà. In Africa, le aree protette vengono istituite per poi fallire, sopraffatte dalla stessa opposizione popolare che provocò la ritirata del colonialismo.

Non si può più continuare a negare il fatto che i popoli locali, indigeni o tribali siano i migliori custodi dell’ambiente tacciandolo come la fantasia del “nobile selvaggio”. È stato dimostrato più e più volte. Le grandi organizzazioni della conservazione devono iniziare ad avvicinarsi ai popoli autoctoni in modo umile ed equo, riconoscendo la superiorità delle loro conoscenze quali custodi dei propri ambienti, e offrendo loro risorse per mantenere il controllo delle proprie terre. Sarebbe un modello di conservazione largamente più economico e più efficiente, e, per quanto molte organizzazioni dichiarino di adottarlo, la nostra ricerca dimostra che non è vero.


Stephen Corry, da sempre attivista per i diritti dei popoli indigeni, è il direttore generale di Survival International. È autore di Tribal Peoples for Tomorrow’s World (Policy Press, 2011).

 

 

Francesca Casella è direttrice della sede italiana di Survival International, il movimento mondiale che lotta per la sopravvivenza dei popoli indigeni in tutto il mondo. In 50 anni  Survival ha ottenuto molti successi, aiutando decine di popoli a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e a determinare autonomamente il loro futuro.

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