Se la demografia è destino…

di claudia

di Marco Aime

Mentre l’Europa attraversa un inverno demografico, con una popolazione giovanile sempre più ridotta, dall’altra parte del Mediterraneo l’Africa vive un boom giovanile senza precedenti. Questa asimmetria, destinata a segnare profondi cambiamenti globali, sembra non ricevere l’attenzione necessaria dai leader europei e italiani, che continuano a considerare la migrazione come una minaccia anziché un’opportunità.

«La demografia è destino», diceva Auguste Comte, e spesso nella storia il fattore demografico ha determinato importanti cambiamenti. Cosa di cui non sembrano rendersi conto coloro che sono deputati a pianificare il domani dell’Europa e dell’Italia. Basterebbe leggere alcuni dati, per comprendere come “quel destino sia alle porte”. Il nostro continente sta vivendo un inverno demografico e il nostro Paese è uno dei più colpiti. In Italia gli under 15 rappresentano il 13,3% della popolazione e la media europea è di poco superiore. Sull’altra sponda del Mediterraneo, in Africa i minori di 15 anni sono il 40%, su una popolazione di un miliardo e mezzo, contro i 450 milioni di abitanti dell’Europa. Quella africana di oggi è la più grande generazione giovane che la storia abbia mai conosciuto. In Africa oggi 8 persone su 10 non erano nate quando, nel novembre del 1989, il muro di Berlino veniva abbattuto; 4 su 10 non hanno assistito alla tragedia dell’11 settembre 2001, perché non ancora al mondo.

Sono numeri su cui occorrerebbe riflettere e sui quali costruire una visione nuova. Tenendo conto del tasso di fertilità del continente, nel 2030 oltre il 40% della popolazione giovanile mondiale sarà africano ed entro il 2050 l’Africa rappresenterà più del 25% della popolazione globale, con un incremento fino a 2,1 miliardi e un’età media inferiore ai 25 anni. 

Questo dato comporta un profondo cambiamento nelle strutture tradizionali e nelle culture locali. Tradizioni che storicamente venivano trasmesse dagli anziani, i quali, oggi, sono in forte minoranza: gli ultrasessantenni sono il 5%, e anche se fossero tutti “saggi” non sarebbero sufficienti a trasmettere la cultura tradizionale. Già oggi la maggior parte degli africani vive nelle città, cancellando in gran parte quell’immagine tra il retorico e il romantico di un continente fatto di villaggi e di etnie legate a vecchie tradizioni. L’Africa di oggi è fatta di città sovrappopolate come Lagos (16 milioni), Luanda (9 milioni); Dar es Salaam (8 milioni), Abidjan (6 milioni). Tra gli abitanti di queste città, caotiche, contornate da immense bidonville, la maggioranza è fatta di giovani, i quali è più facile che stabiliscano relazioni con i loro coetanei che con le generazioni precedenti. Nelle città, soprattutto nelle periferie più povere, si conta più sugli amici che sui parenti.

Si tratta di generazioni globali, che sono in rete, come i loro coetanei occidentali, che si sentono parte del mondo. Anche se lentamente il tasso di scolarizzazione aumenta e il loro sguardo si amplia, e questo fa crescere in molti di loro la sensazione di vivere in Paesi che non offrono molte possibilità. Il 42% dei giovani africani tra i 15 e i 24 anni vuole emigrare. Un dato, questo, che dovrebbe da un lato preoccupare i leader di quei Paesi, che si vedono sfuggire la meglio gioventù, quella che potrebbe assicurare un futuro migliore. La cosa, al contrario, non sembra toccare la maggior parte dei presidenti, impegnati più a fare profitti che a pianificare il domani.

Dall’altro lato, dovrebbe far riflettere i politici europei, impegnati a tentare di bloccare con ogni mezzo quei flussi, con azioni anche violente, senza tenere conto del fattore umano, più per fini politici che non pratici. Infatti, paradossalmente, a voler essere cinici, avremmo bisogno che molte persone raggiungessero l’Europa. Per mantenere il numero di abitanti attuali, al nostro continente servirebbero almeno 50 milioni di migranti e ce ne vorrebbero 80 per stabilizzare la popolazione attiva. L’arrivo di forze nuove potrebbe riscaldare un po’ il nostro inverno demografico, assicurando una continuità che rischia di spezzarsi.

Se «la demografia è destino», allora perché non adeguarci a questo destino, perché non tentare di fare degli eventi attuali un’opportunità, invece di demonizzarli? Alla luce di questi dati, ci si accorge di come la scena politica europea abbia messo in atto un vero e proprio spettacolo della migrazione, presentandola come una tragedia epocale e stigmatizzandone i protagonisti, facendo di loro l’icona di ogni male. Uno spettacolo che troppo spesso volge in tragedia.

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