Rd Congo: si schianta elicottero della Monusco, Kinshasa accusa l’M23

di claudia
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È di otto caschi blu della Monusco il bilancio dei morti a bordo dell’elicottero precipitato durante una missione di ricognizione sulla collina di Chanzu, nel territorio di Rutshuru, nella provincia del Nord Kivu in Repubblica democratica del Congo.

Secondo un comunicato stampa di ieri sera dell’esercito congolese (Fardc) l’elicottero sarebbe stato abbattuto dai ribelli dell’M23 durante una missione di ricognizione della Monusco volta a valutare i movimenti della popolazione provocati dalla guerriglia, un attacco “al fine di impedire che siano intraprese azioni umanitarie” recita il comunicato del portavoce per il governatorato militare del Nord Kivu, generale Sylvain Ekenge. Tuttavia l’M23 ha negato di aver abbattuto l’elicottero della Monusco, accusando a sua volta l’esercito congolese: “Quell’aereo è stato colpito dalla contraerea delle Fardc”, ovvero le forze armate della Repubblica democratica del Congo, ha affermato alla Bbc il maggiore Willy Ngoma, il portavoce dell’M23.

Due ore prima della notizia della caduta dell’elicottero la Monusco, con un altro comunicato, aveva annunciato di aver perso il contatto con uno dei suoi mezzi aerei. I militari delle Nazioni unite, di cui sei erano pachistani, erano a bordo dell’elicottero Puma ma l’esercito pachistano, in una nota, ha dichiarato che le cause non erano ancora state accertate. Oltre ai caschi blu a bordo del mezzo vi erano i membri dell’equipaggio e degli osservatori internazionali. In un tweet pubblicato la sera di martedì il ministero della Difesa del Pakistan ha reso note le identità dei sei caschi blu morti nello schianto: con un tweet di ieri sera la difesa pachistana ha commemorato la memoria di Asif Ali Awan, Maj Saad Nomani, Maj Faizan Ali, Naib Subedar Samiullak Khan, Havaldar Muhammad Ismail e Lance Havaldar Muhamad Jamil. A bordo dell’elicottero, oltre ai sei caschi blu pachistani, erano presenti anche un casco blu russo e uno serbo.

L’esercito congolese ha accusato due giorni fa il Rwanda di sostenere i ribelli dell’M23, che hanno ripreso le loro attività bellicose nell’est della Rdc, ma Kigali e l’M23 hanno negato tali affermazioni. Bintou Keita, capo della Monusco, “condanna con la massima fermezza la nuova offensiva dell’M23 nel Nord Kivu e ne chiede la resa immediata e incondizionata”, secondo un comunicato di lunedì della missione Onu. Secondo un comunicato della Croce rossa infatti sono migliaia i congolesi in fuga dai combattimenti tra l’M23 e l’esercito, rifugiatisi in Uganda. Nella sola giornata di ieri, afferma Irène Nakasiita, portavoce della Croce Rossa ugandese, “tra i 4.500 e i 6.000 congolesi sono arrivati in Uganda attraverso il distretto di Kisoro per sfuggire agli scontri”. L’Unione Europea ha chiesto in un comunicato stampa la “resa immediata e incondizionata” dell’M23 ed ha invitato tutti i paesi della regione a “cooperare per il ripristino della pace in quest’area”.

In totale, ha detto un funzionario della Croce rossa ugandese all’agenzia turca Anadolu, da lunedì scorso sono oltre 10.000 i congolesi fuggiti e rifugiatisi in Uganda e molti altri potrebbero farlo “se gli scontri non finiranno”. L’esercito ugandese ha rafforzato la sicurezza a Kisoro, distretto di confine con la città congolese di Bunagana, a seguito degli scontri tra l’esercito congolese e i ribelli dell’M23. È stato inoltre istituito un posto di blocco a 3 chilometri dal confine per proteggere i rifugiati congolesi che entrano in Uganda.

Conosciuto anche come Esercito rivoluzionario congolese, l’M23 è un gruppo ribelle di tutsi congolesi che Kinshasa sostiene siano sostenuti da Ruanda e Uganda. Lo si riteneva sconfitto dal 2013 ma lo scorso ottobre, con l’attacco ad alcune posizioni dell’esercito congolese, l’M23 ha ripreso con forza le sue attività e secondo diverse Ong che operano in Nord Kivu si troverebbero a pochi chilometri da Rutshuru. Nel 2012 il gruppo aveva preso il controllo della città di Goma, capitale del Nord Kivu, prima di essere sconfitto militarmente nel 2013 dall’esercito sostenuto dalle forze di pace delle Nazioni Unite.

Secondo diversi studi oltre 1000 miliziani si sono rifugiati in Rwanda e Uganda chiedendo al governo di Kinshasa di rispettare gli accordi di Nairobi, che prevedevano il reinserimento nella vita civile degli ex-combattenti e l’integrazione nell’esercito per altri, ma l’M23 sostiene che Kinshasa non abbia mai attuato gli accordi.

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