Niger – «Nessuna richiesta di riscatto per padre Gigi»

di Enrico Casale
Pierluigi Macalli

«Non abbiamo notizie su padre Pierluigi. A mia conoscenza i suoi rapitori non si sono fatti ancora vivi con una richiesta di riscatto» dice all’Agenzia Fides padre Mauro Armanino della Società delle Missioni Africane (Sma), confratello di Pierluigi Maccalli, missionario italiano rapito la notte tra il 17 e il 18 settembre a Bomoanga, a 125 km dalla capitale Niamey, capitale del Niger.

«Comunque un primo risultato i sequestratori lo hanno ottenuto: di loro si parla in tutto il mondo – sottolinea padre Mauro -. Con il rapimento di un missionario occidentale, un gruppo forse neanche tanto grande è riuscito a ottenere una visibilità globale a costo zero».

Le motivazioni possono essere quindi politiche? «Senza dubbio, ma si tenga conto che i rapitori sono di etnia Peuls», risponde p. Mauro, lasciando prefigurare uno scenario ancora più complesso di quello dei gruppi jihadisti che operano tra Mali, Burkina Faso e Niger.

Con Peuls (o Fulani in Nigeria) si indica una popolazione nomade che vive di pastorizia distribuita sull’intera fascia saheliana che va dal Mali fino all’Etiopia. Tra queste popolazioni negli ultimi anni si sono fatta strada sentimenti e ideologie estremiste, e in diversi Paesi, dalla Nigeria al Burkina Faso, dal Mali alla Repubblica Centrafricana, sono segnalate violenze commesse dai Peuls.

«La radicalizzazione di queste popolazioni è dovuta, almeno in parte, alle difficoltà ambientali che fanno sì che diventi sempre più difficile trovare acqua e pascoli per le loro mandrie – spiega il missionario -. In Niger come anche nel vicino Mali abbiamo visto che sono saltate le tradizionali relazioni che legavano i Peuls con le altre popolazioni, come ad esempio i Toureg. Questo accentua l’instabilità e non mi sembra che la militarizzazione che sta avvenendo in Mali come in Niger sia la risposta adatta a risolvere questi problemi».

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