L’orfanotrofio degli elefanti

di claudia

di Claudia Volonterio – foto di Luis Tato / Afp

La siccità che ha investito il Kenya ha ucciso nei mesi scorsi più di 1.500 animali: soprattutto elefanti. Il Reteti Elephant Sanctuary dà rifugio ai cuccioli di pachiderma rimasti senza genitori. I ranger di questo particolare orfanotrofio si prendono cura giorno e notte dei loro piccoli ospiti. Fino a quando saranno in grado di tornare a vivere in libertà nella savana

Naesemare aveva un mese di vita quando è stata trovata in mezzo alla savana, sola e terrorizzata. Era immobilizzata, le zampe affondavano nella fanghiglia di una pozza disseccata. Forse si era persa, più probabilmente era stata abbandonata dalla mandria. Troppo debole per sopravvivere alla siccità. La dura legge della natura non prevede alcuna pietà, nemmeno per i cuccioli di elefanti. «Abbiamo sentito in lontananza i suoi barriti, sembravano lamenti disperati. Siamo riusciti a liberarla in extremis da quella trappola mortale e l’abbiamo portata qui al sicuro», racconta Kiapi Lakupana, custode del Reteti Elephant Sanctuary, un orfanotrofio per animali situato nelle vicinanze del Parco Faunistico di Namunyak, nel Kenya centrale. «La terribile crisi ambientale che ha investito la nostra regione ha falcidiato la fauna selvatica. E i cuccioli hanno sofferto più di tutti».

Strage di animali

Secondo il Kenya Wildlife Service, la siccità ha ucciso più di 1.500 animali: soprattutto elefanti, ma anche giraffe, gnu, antilopi e zebre. Ora la situazione sembra un poco migliorata. La stagione delle piogge, mai tanto attesa come quest’anno, ha rivitalizzato nelle scorse settimane le savane della Rift Valley, che in parte sono tornate rigogliose. È presto tuttavia per capire se può dirsi conclusa quella che gli studiosi hanno definito “la peggiore catastrofe ambientale degli ultimi quarant’anni”. Di certo la prolungata mancanza di precipitazioni ha infierito particolarmente sulla popolazione dei pachidermi.

Nella contea settentrionale di Samburu, tra le più flagellate dalla calamità, sono scomparsi interi branchi di elefanti. Situazioni analoghe sono state registrate nelle aree di Amboseli, Tsavo e Laikipia. «Un elefante adulto necessita per vivere di circa 200 litri di acqua e 300 chili di cibo al giorno», spiega il ricercatore zoologo Jim Justus Nyamu. «Quando in natura scarseggiano le risorse vitali nell’ambiente, gli animali si spostano, migrano spinti dall’istinto di sopravvivenza verso territori con condizioni più favorevoli. Il problema è che la fauna oggi non è più libera di muoversi perché l’uomo ha occupato gli spazi costruendo villaggi e città. Oggi ci sono campi agricoli e pascoli recintati dove un tempo c’erano i corridoi delle rotte migratorie. I pachidermi si trovano imprigionati in parchi e riserve senza acqua né cibo, né vie di fuga».

Cuccioli in pericolo

A soccombere sono soprattutto le femmine gravide. «Hanno un lungo periodo di gestazione, 22 mesi, e la siccità provoca un forte stress sul loro corpo che, indebolito e vulnerabile, finisce per ammalarsi e cedere», spiega Isaiah Alolo, medico veterinario. La strage degli esemplari adulti ha lasciato sul terreno innumerevoli cuccioli senza genitori. I ranger del Reteti Elephant Sanctuary perlustrano ogni giorno la zona coi loro fuoristrada, per intervenire tempestivamente in caso di necessità. Una parte dei quaranta cuccioli attualmente ospitati nell’orfanotrofio arriva da altre parti del Kenya, dove sono stati salvati dalle autorità preposte alla salvaguardia ambientali.

Nel centro di Reteti i piccoli pachidermi vengono nutriti dai ranger con latte – tramite enormi biberon – e foraggio fresco. In sei anni di attività ne sono stati salvati più di duecento da morte sicura. Proprio come Naesemare, che ora sta recuperando le forze grazie alle cure ricevute dai ranger. «È diventata la mascotte del nostro rifugio, viene accudita e coccolata dalla mattina alla sera, e persino durante la notte», riferisce Dorothy Lowakutuk, una giovane donna masai impegnata a portare soccorso ai cuccioli di elefanti. «Quando è arrivata, era in condizioni pessime. Temevamo non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. Invece se l’è cavata e migliora ogni giorno. Ora la portiamo a spasso per qualche ora nella zona qui intorno, assieme ad altri cuccioli, affinché si abitui a muoversi e a cibarsi nella savana. Ci vorrà ancora tempo, molti mesi di cure pazienti, ma pian piano recupererà la piena autonomia e sono certa che potrà tornare a vivere in libertà».

Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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