L’Africa ha bisogno di risposte strutturali e non di pietismo inconcludente

di claudia

L’unico modo per assicurarci di finire dalla parte giusta della storia è insistere come africani per essere gli artefici di quella storia. Dobbiamo capire che non possiamo dipendere dalla buona volontà di nessuno per lo sviluppo e la sicurezza dell’Africa”. Intervista a Githinji Gitahi, direttore globale di Amref, la più grande organizzazione sanitaria nata in Africa senza fini di lucro.

di Angelo Ferrari – Agi

L’Africa è un grande continente. Non è possibile liquidarlo come un’unica entità perché è fatto di culture, politiche, storia, lingue diverse tra di loro. Ma c’è un tratto comune nella narrazione che spesso viene fatta del continente, cioè lo sguardo. Lo si analizza, lo si giudica, si tenta di dare risposte ai numerosi problemi che lo affliggono, guardando da Nord verso Sud, cioè con gli occhi dell’occidente, “in questo caso, significa che la storia non è sempre fondata sui fatti o vista attraverso la giusta lente, ma è piuttosto l’interpretazione di coloro che hanno le risorse e la risonanza, a prevalere”. Insomma, una storia scritta dai vincitori. Un esempio: l’egoismo vaccinale dell’occidente, che marginalizza proprio il continente africano, l’endemica insicurezza alimentare, le siccità ricorrenti. Questioni che hanno bisogno di risposte strutturali e non di pietismo inconcludente.

Di questo, e di molto altro, ne abbiamo parlato con il keniota Githinji Gitahi, direttore globale di Amref, la più grande organizzazione sanitaria senza fini di lucro, nata in Africa, e da sempre attenta alle questioni che riguardano lo sviluppo umano, la salute delle popolazioni africane.

Negli ultimi anni, Gitahi è diventato una delle voci più influenti e autorevoli in merito alla salute africana e globale, non a caso è membro della Commissione per la lotta al Covid in Africa, istituita dall’Unione Africana e presso l’Africa Centers for Disease Control and Prevention.

Negli ultimi mesi sono stati lanciati molti appelli affinché la comunità internazionale aiutasse le regioni africane colpite dalla siccità. Le crisi mondiali, la guerra in Ucraina, evidenziano che gli aiuti sono pochi. O meglio: il bacino globale dei bisognosi di aiuto si è allargato, e questo va a discapito del continente africano. Come si possono affrontare queste nuove emergenze?

“La crisi alimentare in Africa è il risultato di molti fattori, uno dei quali è il clima e la conseguente imprevedibilità dei modelli agricoli. In secondo luogo, l’aumento della popolazione, quindi più persone che fanno affidamento sulle stesse risorse. In terzo luogo, naturalmente, il COVID-19, che ha creato un’interruzione senza precedenti nella catena di approvvigionamento, ad esempio la chiusura delle frontiere che ha influenzato l’importazione di beni. Infine, il conflitto Russia-Ucraina, che ha aggravato una crisi alimentare già in corso. Ovviamente è necessaria una risposta immediata per salvare le vite delle persone che oggi hanno bisogno di cibo da mangiare, ma su scala più ampia dobbiamo assicurarci di migliorare i sistemi alimentari e le catene di approvvigionamento, migliorando così la produzione di cibo e la disponibilità e la qualità di quest’ultimo. Parallelamente, dobbiamo assicurarci di attuare una protezione sociale idonea: dobbiamo proteggere i più vulnerabili. Tutto questo deve essere fatto in modo strutturale e sistemico. Infine, è inutile dire che, se non affrontiamo la questione del cambiamento climatico, questo problema si ripeterà incessantemente”.

Inestricabilmente legata alla questione della sicurezza alimentare è quella di garantire un’assistenza sanitaria degna di questo nome, così come anche di scuole sicure ed accoglienti. Ma l’Africa sembra ancora lontana da un welfare che garantisca cure per tutti, così come un’istruzione degna di questo nome. Oggi chi può pagare ha accesso alle cure o alle scuole migliori; chi non può, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione, rimane ai margini. Amref si è sempre battuta per un’assistenza sanitaria più equa per tutti. Quali passi avanti sono stati fatti?

“Dobbiamo partire da qui: la salute è il diritto umano più fondamentale. È la salute che permette agli esseri umani di emanciparsi attraverso l’istruzione, il lavoro, la vita sociale e così via. Se non si sta bene, non si può frequentare la scuola, non si può frequentare il posto di lavoro, né tantomeno trovare un impiego. Tuttavia, ancora oggi, non tutti hanno la possibilità di accedere all’assistenza sanitaria necessaria, senza dover affrontare difficoltà economiche. Quindi, il principale passo avanti che è stato fatto riguarda la protezione sociale: garantire che i governi provvedano ai più vulnerabili, anche se identificarli non è facile, perché la vulnerabilità è imprevedibile. Tuttavia, ora abbiamo imparato che la tecnologia è un ottimo strumento per sostenere le strutture sociali e comunitarie esistenti per identificare e sostenere i più vulnerabili. Questo è ciò che Amref sta facendo: aiutare i governi nell’identificazione e nella protezione di alcune categorie, attraverso l’assicurazione sanitaria, la connessione con le comunità e così via”.

La pandemia ha evidenziato l’egoismo vaccinale dell’Occidente che non ha capito che o ci si salva tutti, o non si salva nessuno. La stessa cosa si sta rilevando con il vaccino contro il vaiolo delle scimmie, come lei ha ribadito da tempo. Come è possibile cambiare questo paradigma?

“In realtà non credo che l’attuale ordine mondiale sia interessato a cambiare questo paradigma. Dobbiamo rendercene conto per diventare più pragmatici. Per quanto riguarda il COVID-19, come tutti sappiamo, mentre il resto del mondo riceveva dosi booster, la maggior parte della popolazione africana non aveva ancora ricevuto la prima. Abbiamo fatto rumore e abbiamo pensato che le cose sarebbero cambiate grazie a questa consapevolezza, ma il vaiolo delle scimmie ha dimostrato il contrario. L’Africa è affetta da vaiolo dal 1970, ma il fatto che gli africani siano morti per mezzo decennio non ha avuto importanza finché il vaiolo non è arrivato in Europa e in Nord America. Ora è un problema di salute pubblica e globale. Non ci aspettiamo che il mondo, così come è impostato oggi, abbia interesse a risolvere questo paradigma. Dobbiamo capire che non possiamo dipendere dalla buona volontà di nessuno per lo sviluppo e la sicurezza dell’Africa. Dobbiamo sviluppare in Africa delle strutture che consentano al continente di avere l’autonomia e la leadership della propria sicurezza sanitaria, dell’agenda sanitaria, dell’istruzione e dello sviluppo socioeconomico, nonché dello sviluppo politico. Questo non significa che dobbiamo lavorare da soli: si dice “Fallo tu, ma non farlo da solo”.”

Quando si affronta il tema generale dell’Africa, si tende a sottolineare le carenze, senza esaltarne le cose buone, come è giusto che sia. Lei dice, tuttavia, che l’unico modo per assicurarci di finire dalla parte giusta della storia è insistere come africani per essere gli artefici di quella storia. Può spiegarci meglio?

“Sì, ancora una volta, dobbiamo farlo da soli. Un famoso detto afferma che “la storia è scritta dai vincitori”. In questo caso, significa che la storia non è sempre fondata sui fatti o vista attraverso la giusta lente, ma è piuttosto l’interpretazione di coloro che hanno le risorse e la risonanza, a prevalere. Vediamo l’Africa con gli occhi delle persone sbagliate. Dobbiamo costruire istituzioni locali che abbiano la capacità e le risorse per raccontare le nostre storie. Amref sta lavorando anche su questo”.

Angelo Ferrari – Agi

Immagine di wirestock su Freepik

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