L’Etiopia rischia di implodere

di claudia
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di Mario Giro

L’Etiopia sembra non trovare pace. Il conflitto iniziato nel 2020 tra le truppe federali e le milizie del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), che controlla la regione del Tigray, ha provocato un numero incalcolabile di morti ed ora è ripreso. A questo si aggiunge una tensione diffusa nelle popolazione degli altri stati federali, oltre ai malumori della società civile, nella morsa di problemi economici e sociali

La guerra è ripresa tra tigrini e governo federale etiopico. L’aviazione federale ha bombardato varie volte Makallé e si dice che truppe di Addis Abeba stiano spingendo da sud mentre quelle eritree abbiano ripreso ad avanzare da nord. Nei mesi di tregua i negoziati di pace non sono riusciti a decollare e la parola è ritornata alle armi. Come mediatore il governo avrebbe prescelto Olusegun Obasanjo, l’ex presidente nigeriano, incaricato dall’Unione Africana. I colloqui avrebbero dovuto svolgersi a Nairobi ma i tigrini del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) non ne hanno voluto sapere, almeno fino ad ora: a loro avviso né il Kenya né l’Unione Africana sono neutrali nei loro confronti. Questo è noto dal punto di vista ufficiale anche se le voci si rincorrono su alcuni incontri segreti che forse hanno avuto luogo ad agosto nella capitale keniana, nelle Seychelles o a Gibuti.

Alcuni dicono che gli stessi tigrini avevano cambiato idea, almeno su Obasanjo. Sembrerebbe che a luglio scorso l’Unione Africana abbia fatto girare un documento nel quale si includeva l’Eritrea nei futuri negoziati, con il risultato di irritare profondamente il TPLF. Ora sul terreno sono ricominciati gli scontri tra i due popoli cugini, e la città di Sciré dovrebbe essere caduta nelle mani delle truppe di Asmara. Pochi giorni prima della ripresa dei combattimenti era prevista una riunione chiarificatrice a Mekelle che non c’è mai stata e lo stesso Obasanjo non vi si è più recato. La scelta di dialogare continua a dividere internamente le parti. Sia ad Addis che in Tigrai vi sono falchi e colombe : malgrado la nuova fase degli scontri, non è sicuro chi stia prevalendo in entrambi gli schieramenti. Una sola cosa è certa: la popolazione –anche in Tigrai- è ormai stanca di questa guerra micidiale per i civili (in tutto il paese si muore di fame e i massacri sono stati numerosi) ed è a favore del negoziato. Il TPLF aveva posto come precondizione il ripristino dell’elettricità, delle telecomunicazioni e dei servizi bancari interrotti da Addis fin dall’inizio del conflitto.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed

Il Tigrai è de facto totalmente isolato come denunciano anche molte ONG e agenzie umanitarie internazionali. Durante i cinque mesi di tregua sono finalmente giunti un po’ di aiuti alimentari ma ne servirebbero –a detta di tutti- molti di più. L’UE e gli Stati Uniti hanno appoggiato tale richiesta ma il primo ministro Abiy Ahmed è rimasto irremovibile. Di conseguenza c’è chi si chiede quanto il governo volesse davvero la trattativa e monta il sospetto che sia stata una tattica del premier per liberarsi dalle insistenze occidentali e della comunità internazionale. Altri sostengono invece che riprendere a combattere serve a contenere il malumore degli amhara: Addis è preoccupata dalla questione di quella regione che sta diventando sempre più complicata. La guerra si va frammentando in varie guerre tra cui quella del Wolkeit sembra la più difficile da risolvere. Tale regione frontaliera con il Sudan era stata inglobata nel Tigrai (e perciò chiamata tigrai occidentale) al tempo di Meles Zenawi per poi essere occupata (o liberata, a seconda dalla posizione a riguardo) dalle milizie amhara durante i combattimenti attuali.

Gli amhara sostengono che si tratti di una loro terra ancestrale precedentemente sequestrata dai tigrini, che invece la rivendicano. Tale contesa sta avvelenando le relazioni con la capitale federale perché su questo dossier ci sono pareri giuridici discordanti ma gli amhara non ne vogliono nemmeno discutere. Il leader della regione amharica, Yilkal Kefale eletto nel 2021, è assolutamente contrario ad ogni dialogo con i tigrini e ciò potrebbe aver spinto il primo ministro a riprendere i combattimenti. Il Wolkeit è una zona molto fertile con grandi coltivazioni del sesamo. Tuttavia resta il problema che nell’ultimo anno le relazioni tra Addis e le milizie regionali amhara si sono fatte tese tanto che il governo ha dovuto arrestare circa 4000 miliziani. Nel Wolkeit si parla addirittura di una speciale alleanza tra amhara e eritrei. Dale ultime informazioni pare che gli etiopici stiano organizzando un ponte aereo militare verso Amara per trasportare le loro truppe e prendere i tigrini a tenaglia. Ma la guerra non termina lì: resta in sospeso la questione Oromo a sud del paese e attorno alla capitale. I ribelli dell’OLA (Oromo liberation army) non sono in grado di marciare su Addis ma compiono molti attentati nella regione rendendo insicuro il transito su molte strade e nelle zone rurali. A differenza dei tigrini, gli oromo combattono a gruppi e senza un comando centrale, ciò che rende la loro azione diffusa anche se strategicamente meno pericolosa per il governo centrale.

Dal lato somalo si è verificata una mega operazione di al-Shabab, respinta dalle truppe federali ma c’è chi sospetta che militanti somali cerchino di unirsi ai ribelli oromo, con cui condividono la medesima fede islamica. Infine c’è il malumore degli afar che hanno dovuto subire un’offensiva tigrina senza ricevere aiuti da parte di Addis. Il quadro della guerra in Etiopia è dunque composito con il rischio di un’implosione generale. Un ultimo interrogativo viene dai rapporti difficili tra etiopici e sudanesi: c’è sempre il rischio di attacchi sulla frontiera dove è in atto da mesi una specie di guerra di attrito a bassa intensità. In tutto questo l’economia etiopica non va molto bene: la penuria alimentare e la crisi energetica indotte dalla guerra in Ucraina, hanno portato l’inflazione a oltre il 40 percento aumentando le difficoltà della popolazione civile.

Foto di apertura: Amanuel Sileshi / AFP

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