Fabrizio Floris ▸ Essere “neet” in Kenya

di Pier Maria Mazzola

I dati Eurostat usciti in questi giorni fotografano la situazione dei giovani “fuori dai giochi”: che non lavorano né sono inseriti in alcun tipo di formazione. L’Italia è il fanalino di coda, lo sappiamo. Ma il fenomeno esiste anche altrove. Anche in Africa.

A partire dalla fine degli anni Ottanta si è affermato in Europa il fenomeno dei cosiddetti giovani neet – “Not inemployment, education or training” –, ossia dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni che sono disoccupati e al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione. Particolarmente problematico è il fenomeno in Italia, dove i giovani coinvolti nel fenomeno sono quasi il doppio della media europea (25,7% contro il 14,3% secondo i dati di Eurostat diffusi ieri). Parliamo di quasi 2 milioni di ragazzi, con la particolarità che molti rientrano nella categoria degli scoraggiati: quelli che hanno perso la speranza di trovare un lavoro ed hanno smesso di cercarlo.In alcune città italiane sono addirittura maggioranza. La disoccupazione dei ragazzi dai 15 ai 24 anni a Torino è pari al 57,8% e tra le ragazze arriva al 64,4%, un valore superato solo a Napoli (65,3%), Catania (68%) e Messina (75,9%).

Tuttavia, non era finora successo che si parlasse di neet in Africa. A colmare la “lacuna” ci ha pensato Walter Mong’are, direttore dei programmi del governo keniano per i giovani, il quale ha affermato, durante il forum Youth Economic Dialogues dello scorso maggio a Nairobi, che i giovani del Kenya «se ne stanno a casa ad aspettare che il lavoro bussi alla loro porta». E ha proseguito: «Non puoi semplicemente stare seduto in casa e aspettarti che il lavoro venga a cercarti. Devi alzarti e metterti a cercare… Gli stranieri costruiscono strade e altre infrastrutture perché i giovani keniani non sono disposti o preparati a fare questi lavori».

Sulla stessa linea Macharia Gaitho, già presidente di Kenya Editor’s Guild, un’organizzazione non profit che si occupa di comunicazione giornalistica, secondo il quale «Mark Zuckerberg, Jack Ma, Bill Gates e Steve Jobs hanno in comune di essere diventati ricchi in fretta e da giovani. Tuttavia, non avevano deciso per prima cosa di fare soldi. Se pensi solo a fare soldi, allora sarai tentato di prendere delle scorciatoie, ed è questo il rischio dei nostri giovani».

La questione non è semplice, perché in Kenya, a differenza che in Europa, la scuola ha costi estremamente elevati, è in gran parte privata, pertanto molti giovani sono esclusi perché non hanno le risorse economiche per pagarsi le tasse di iscrizione e i libri. Perciò non trovano lavoro perché non hanno un diploma e poi perché c’è un grosso sistema clientelare per l’assegnazione degli impieghi. Quindi si dedicano a piccole attività informali jua kali (quelle che si fanno per strada sotto il sole che picchia) per “spingere avanti” la settimana.

Nel contempo, soprattutto per chi vive in baraccopoli, ci si sente vittime, si è coscienti dell’ingiustizia. Il rischio, tuttavia, è di considerare la propria situazione peggiore di quello che effettivamente è. «È vero, c’è un grosso handicap di partenza per chi proviene dagli slum, ma è necessario lasciare alle spalle gli svantaggi e guardare avanti perché nonostante tutto c’è un margine a disposizione di ogni ragazzo, è solo suo e andrà lontano, as far as, fin dove è convinto di voler arrivare».

Forse, sia in Kenya che in Europa, più che criticare i giovani neet è tempo di riconoscerli come persone di valore: offrire loro delle opportunità ci farebbe scoprire l’incredibile forza della giovinezza, la vita che cresce. La biologia più forte della biografia.

Foto  Jhpiego / R. Dangana


Fabrizio Floris, una laurea in Economia e un dottorato di ricerca in Sociologia dei fenomeni territoriali e internazionali, è membro della cooperativa “Labins, laboratorio di innovazione sociale”. Ha insegnato Antropologia economica presso l’Università di Torino e ha svolto altri insegnamenti. Suo principale campo d’interesse sono gli insediamenti informali, in Italia come in Africa. Scrive per Il manifesto, Nigrizia e altre testate. Tra i suoi libri: Eccessi di città. Baraccopoli, campi profughi e periferie psichedeliche (Paoline, 2007), Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya (L’Harmattan Italia, 2003).

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