Africa, quasi 40 milioni di persone senza lavoro

di Enrico Casale
lavoratori africani

In Africa è emergenza lavoro. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) nel 2016 nel continente c’erano 37,1 milioni di disoccupati, nel 2017 38,3 e si stima che quest’anno potrebbero salire a 39,4. A soffrirne di più è l’Africa subsahariana che nel 2016 contava 28 milioni di senza lavoro, nel 2017 29,1 e nel 2018 potrebbero arrivare a 30,1. La maggior parte di essi sono giovani. Secondo l’Oil, sono almeno 32 milioni di ragazzi sotto i 18 anni che non trovano un occupazione.

«Il tasso di disoccupazione in tanti Paesi è molto alto – spiega all’Agenzia Fides padre Donald Zagore, missionario della Società delle Missioni Africane -. Ad esempio, in Costa d’Avorio, circa il 23% della popolazione è senza occupazione; in Sudafrica il 27,3%; in Gabon il 18%; in Gambia il 29,8%, solo per riportarne alcuni. La cosa più drammatica è che, anche quei lavori che spesso rasentano lo sfruttamento, per non parlare di quelli più dignitosi, sono diventati merce rara».

Il dramma è che questa situazione già precaria potrebbe peggiorare. Attualmente metà della popolazione africana ha meno di 14 anni e si sta affacciando al mercato del lavoro. Ma senza la speranza di trovare un’occupazione che possa garantire un reddito sufficiente a vivere.

«Si tratta di un problema sociale ma anche antropologico per gli africani osserva padre Zagore -. È grottesco dover riconoscere che, mentre lo sfruttamento dell’uomo è sempre stato considerato un crimine, c’è ancora di peggio. Infatti attualmente la mancanza dello sfruttamento, paradossalmente, sembra una vera retrocessione. Quante persone oggi sarebbero disposte a svolgere il peggiore dei lavori solo per avere un reddito e non ne trovano uno? È davvero spaventoso vedere che l’uomo non serve più a niente, nemmeno per qualsiasi tipo di sfruttamento. L’uomo oggi è percepito come superfluo, è distrutto. Purtroppo, come diceva la critica letteraria francese Viviane Forrester, ci sono molti uomini e donne che risultano “incompatibili con una società di cui sono comunque i prodotti più naturali”. Sfortunatamente, sostiene la scrittrice, siamo passati dal fenomeno dello sfruttamento, a quello dell’esclusione».

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