Tanzania, un presidente allo sbando

di Marco Trovato

Quando nel 2015 divenne presidente della Tanzania, John Magufuli promise di combattere la corruzione e puntare su uno sviluppo eco-sostenibile, suscitando simpatia e fiducia da parte dell’opinione pubblica e dei media internazionali. Ma oggi assistiamo attoniti alla parabola di un leader politico negazionista del covid, che non crede ai vaccini, pubblicizza trattamenti tradizionali a base di vapori allo zenzero. E che giorno dopo giorno impone restrizioni sulla libertà di stampa e di manifestazione, soffocando ogni forma di dissenso. Una deriva autoritaria che preoccupa la comunità internazionale

di Angelo Ravasi

“Se l’uomo bianco fosse stato in grado di inventare i vaccini, allora ci sarebbero i vaccini per l’Aids, la tubercolosi sarebbe cosa del passato, i vaccini per la malaria e il cancro sarebbero stati trovati”. Questo è il punto più basso raggiunto dal presidente della Tanzania, John Magufuli, lo stesso che ha dichiarato “covid-free” il suo paese a metà del 2020. Ma è bene sottolineare che Magufuli, in quella data, ha smesso di fornire i dati sull’epidemia. In un discorso tenuto durante una visita nella sua città natale Gieta, ha anche accusato le persone che sono state vaccinate fuori dalla nazione di portare nuove infezioni e ha ringraziato dio perché ha ascoltato le preghiere dei tanzaniani, comprese le sue, che chiedevano la liberazione dal coronavirus. E questo è un presidente non un passante qualunque o uno sciamano. Sentendo queste farneticazioni viene subito in mente l’ex presidente del Sudafrica, Jacob Zuma. Quando era in carica, con molta disinvoltura, ha affermato che è sufficiente una doccia dopo un rapporto non protetto per scongiurare l’infezione da Hiv. E in Sudafrica vivono 7,7 milioni di persone affette dall’Aids, il paese più colpito da questa malattia. E questi presidenti devono amare particolarmente le “docce”. L’ultima trovata di Magufuli è la cabina dove si viene docciati con vapori ricchi di essenze di limoni e zenzero. Il trattamento tradizionale – che non ha alcuna prova scientifica contro il coronavirus – è stato sponsorizzato proprio dal presidente che ha riferito che uno dei suoi figli contagiato dal Covid “si è ripreso grazie all’inalazione dei vapori benefici”.

Magufuli il “bulldozer”

Questo è lo stesso Magufuli che ha fatto della lotta alla corruzione la cifra del suo primo mandato – è stato rieletto il 28 ottobre 2020 – così da essere soprannominato “bulldozer”, e faceva ben sperare in un’Africa infestata da presidenti “dinosauri”, per poi far carta straccia della democrazia. Il presidente, non c’è dubbio, ha il senso della comunicazione e sa attrarre simpatia. La foto del suo saluto “con il piede”, al posto della stretta di mano, al tempo del coronavirus, fa il giro del mondo.

Supporter del partito di John Magufuli’s, Chama Cha Mapinduzi, a un comizio al Kibanda Maiti Stadium (Afp)

Come dimenticare, poi, Magufuli con la scopa in mano, nella pubblica via, a pulire i marciapiedi: era stato da poco eletto presidente e il gesto era al contempo un concreto sprone ai cittadini per tener pulita Dar es Salaam e un gesto simbolico: spazzare via i corrotti e i fannulloni della pubblica amministrazione. Aveva subito abolito, per risparmiare denaro pubblico, i mega festeggiamenti per l’anniversario dell’indipendenza nazionale. E, a meno di due anni dall’inizio del suo mandato, aveva cominciato a mettere in riga le compagnie minerarie che si arricchivano con i tesori del sottosuolo tanzaniano. Insomma, Magufuli, salito alla massima carica dello Stato grazie a elezioni considerate dagli osservatori “le più aperte della storia del Paese”, ha fatto onore al suo soprannome di Tingatinga, bulldozer appunto.

Repressione del dissenso

Ma da bulldozer si è ben presto comportato anche nei confronti della democrazia. E qui il cahier de doléances conta molte pagine oscure, dalla progressiva stretta sulla libertà di informazione, canzoni comprese, alle limitazioni di carattere più direttamente politico, come gli arresti di oppositori quali Zitto Kabwe e Freeman Mbowe, e il divieto delle manifestazioni politiche di dissenso. Un cambiamento radicale della sua politica tanto che la Tanzania sta facendo ritorno allo stato mono partitico. L’ultima campagna elettorale per le presidenziali – Magufuli ha guadagnato il suo secondo mandato – è stata caratterizzata dalla repressione degli oppositori politici, utilizzando anche un ampio arsenale legislativo per ostacolare i loro tentativi di campagna elettorale. Il dissenso in Tanzania non è ammesso. La polizia, poi, applica le leggi in modo selettivo e parziale. Decide, d’arbitrio, quali sono le assemblee autorizzate e quali no. La maggioranza, in questo caso, ha sempre ragione. Il partito di governo può tenere tutte le assemblee che vuole, quelle dell’opposizione sono sediziose, quindi vietate. I tanzaniani oggi sono sempre più reticenti a esercitare i propri diritti per timore di entrare in conflitto con una serie di nuove leggi restrittive o di subire ritorsioni fisiche. Quanto di più lontano c’è da una democrazia matura (oggi il Paese è passato dal settantesimo al centoventiquattresimo posto nella classifica sulla libertà di stampa). La Tanzania è diventata per gli analisti un caso di studio tra i Paesi africani impegnati a resuscitare l’autoritarismo in Africa.

(Angelo Ravasi)

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