Sud Sudan, Machar: «Non rientro»

di Enrico Casale
riek machar

Il Sud Sudan si sta avvicinando alla fatidica data del 12 maggio. Quel giorno, secondo l’accordo di pace sottoscritto a settembre per porre fine alla guerra civile, Riek Machar dovrà tornare a casa per rivestire la carica di primo vicepresidente. Ma il leader ribelle rifiuta per il momento di tornare, dicendo che le condizioni di sicurezza non sono garantite e che l’accordo ha accumulato troppi ritardi.

Si spera comunque che il 12 maggio Riek Machar possa rientrare a Juba. Sarà nominato un nuovo governo di unità nazionale e si aprirà un periodo di transizione di tre anni che dovrebbe portare a nuove elezioni.

Ma nulla è certo. Riek Machar chiede di poter tornare fra sei mesi perché, secondo lui, le forze dell’ordine non sono in grado di proteggerlo. Ricordiamo che nel 2016 il leader dei ribelli è dovuto fuggire dalla capitale sotto l’assalto dell’esercito, firmando il fallimento del precedente accordo di pace.

Inoltre, la forza incaricata di proteggere i Vip, inclusa l’opposizione, deve includere 700 uomini dell’esercito nazionale e gruppi ribelli. La loro formazione è iniziata venerdì, ma senza alcun esponente indicato dall’opposizione.

L’Splm-Io, il partito di Riek Machar, chiede che questa forza comprenda da 10 a 12mila elementi. Impossibile, risponde il governo, a causa di problemi logistici e finanziari.

L’accordo di pace accumula gravi ritardi in tutti i settori: la formazione di un esercito unitario, la creazione di istituzioni e la delimitazione dei confini federali. Ma il presidente Salva Kiir si rifiuta, per il momento, di cambiare la road-map. «Qualsiasi ritardo distruggerebbe le speranze di pace del nostro popolo e sarebbe un atto di malafede», ha detto il capo dello Stato.

L’Igad (comunità di Stati attorno al Corno d’Africa, impegnata nei negoziati sud-sudanesi) ha fissato colloqui per giovedì e venerdì. Riek Machar ha promesso di partecipare.

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