Sierra Leone, case della memoria

di claudia
sierra leone

di Federico Monica*

Alla scoperta dell’architettura krio degli edifici di Freetown, retaggi della storia unica di questa città, potenti simboli di libertà. Pareti e pavimenti fatti di assi di legno, alti abbaini, grandi verande, ampie finestre: sono le case krio tipiche della capitale della Sierra Leone. Architetture uniche che mischiano elementi tipici degli alloggi caraibici, delle case del delta del Mississippi e dei cottage della campagna britannica. Eccezionali monumenti alla lotta alla schiavitù. Ma oggi questo patrimonio storico e architettonico rischia di scomparire

«Le case qui hanno forme insolite, fatte con assi di legno e immerse in rigogliosi giardini; hanno stanze anguste ma enormi verande, gli arredi sono un miscuglio di pesanti decori vittoriani e semplicità americana».

Erano i primi anni del Novecento quando il capitano inglese Frederick Butt-Thompson scriveva questi appunti durante il suo soggiorno a Freetown, l’odierna capitale della Sierra Leone che all’epoca contava circa cinquantamila abitanti, in gran parte discendenti diretti dei fondatori della città.

Altri tempi: a oltre un secolo di distanza i residenti superano ormai il milione e mezzo, le foreste pluviali sulle colline così come i sentieri e le spiagge bordate di palme vanno inesorabilmente scomparendo e lasciano il posto a strade perennemente trafficate, a moderne villette o a baracche in lamiera.

Eppure nel caos inestricabile del centro molte di queste originali abitazioni resistono ancora al tempo e alla speculazione immobiliare, raccontando coi loro colori sgargianti la storia avvincente di una città unica.

Una bandiera americana è appesa sopra la porta di una casa nello slum di Kroo Bay.

La città degli uomini liberi

Era la mattina dell’11 marzo 1792 quando un gruppo di vascelli sgangherati approdò alle coste dell’attuale Sierra Leone; navigavano da mesi, dalle gelide coste del Canada, e trasportavano alcune centinaia di ex schiavi liberati di origine africana. Quell’angolo di terra fra ripide montagne e l’Atlantico era la loro terra promessa: qui avrebbero fondato Freetown, il sogno della libertà riconquistata.

Tutto era da costruire in quella porzione di foresta dominata da un enorme albero, il Cotton Tree, che ancora oggi svetta sulla città: strade, edifici pubblici, abitazioni. I fondatori però non si persero d’animo e nonostante le malattie tropicali e l’ostilità delle popolazioni locali tracciarono il nuovo insediamento e realizzarono ripari di fortuna.

Nei mesi e anni successivi, quando si trattò di edificare case più durature, fu necessario inventare nuove architetture, ispirate soprattutto a quelle esistenti nelle piantagioni intorno al Mississippi. Non tutti gli schiavi liberati che continuavano ad affluire in città, però, venivano dagli Stati Uniti: diversi arrivavano dalla Giamaica e in generale dall’arcipelago caraibico, altri da Londra o direttamente dalle coste africane, intercettati dalle forze abolizioniste sulle navi negriere e resi liberi prima di attraversare l’Atlantico.

Ognuna di queste comunità aveva proprie tradizioni e una lingua propria, che confluirono lentamente a formare la cultura krio: un melting pot unico al mondo in cui ha un ruolo importante anche l’architettura, che vide il diffondersi di stili e tipologie particolari e inediti.

Un’architettura unica

Ancora oggi sono chiamate bode hos, letteralmente “case fatte di assi”, architetture uniche che mischiano elementi tipici delle chattle houses caraibiche alle case del delta del Mississippi e ai cottage della campagna britannica; un ibrido che ripercorre e traduce in edifici le influenze che hanno formato Freetown.

Queste strutture varie e molto differenti tra loro hanno elementi ricorrenti che le rendono immediatamente riconoscibili, innanzitutto gli alti e grandi abbaini che permettono di sfruttare anche lo spazio del sottotetto, un tempo coperto da tegole in legno oggi sostituite dall’onnipresente lamiera ondulata.

Altri elementi immancabili sono le ampie finestre all’inglese e le grandi verande rialzate che si affacciano sul fronte o più spesso su un cortile privato in cui si svolgeva gran parte delle attività quotidiane delle famiglie.

Il basamento dei muri, fino all’altezza di circa un metro, è realizzato in conci di pietra, per poi proseguire in assi di legno verniciate a colori sgargianti. Anche i dettagli hanno un ruolo fondamentale che unisce funzionalità ed estetica, come nelle griglie in legno intagliato che coprono parte delle finestre al piano terra permettendo all’aria di fluire ma garantendo la privacy all’interno, o come negli artistici cornicioni intagliati che convogliano l’acqua del tetto lontano dalle pareti.

Dietro la forma, le soluzioni tecniche e i colori vivaci, si nasconde però un aspetto simbolico ancora più importante: in una città unica come Freetown anche l’architettura si fa memoria e diventa un simbolo potente di libertà.

Nei primi anni dalla fondazione della città infatti le risorse erano pochissime, così come i contatti e i commerci con altre regioni o con l’Europa. Utensili, suppellettili ma anche materiali come ferro, tela e legname da costruzione erano difficili da reperire: è così che fu necessario arrangiarsi e far tesoro delle poche risorse a disposizione.

Una di queste erano le navi di proprietà degli schiavisti che venivano catturate e trasportate a Freetown; ben presto si iniziò a smantellarle e recuperarne ogni singolo pezzo, barili, funi, catene, la tela robusta delle vele fino al fasciame degli scafi e ai lunghi pali degli alberi.

Molte case krio furono costruite proprio con il legname di quelle navi, diventando esse stesse un inno alla libertà e alla lotta alla schiavitù.

Le immagini adornano l’esterno di un salone di bellezza ospitato in un’estensione di cemento attaccata al lato di una tradizionale casa di assi di legno. Lo stile architettonico è stato portato dagli schiavi liberati che fondarono la città più di 200 anni fa. Tuttavia, a causa dei costi di manutenzione e della preferenza culturale per il cemento, le case a schiera stanno scomparendo rapidamente.

Interni d’autore

Se gli esterni contribuiscono in modo determinante a dare a Freetown un’atmosfera unica, gli interni non sono da meno: entrare in una casa krio significa fare letteralmente un tuffo nel passato.

Lo scricchiolio sinistro delle assi accompagna ogni passo mentre l’affascinante miscuglio di pesanti decori vittoriani e di semplicità americana non è scalfito dall’immancabile paccottiglia kitsch cinese o dallo schermo piatto di un televisore.

Le tavole di legno consunte e annerite nei secoli dal fumo di candele e lumini ad olio lasciano intravedere decori geometrici o figure dipinte sul soffitto e sulle pareti divisorie; le ripide scale che portano ai piani superiori a tratti danno l’impressione di trovarsi nella tolda di una nave.

In alcune case sono ancora visibili alcuni elementi immancabili per le famiglie krio più tradizionaliste e orgogliose delle proprie origini, come una grande Bibbia sempre aperta sulle letture quotidiane o come la preghiera del Governatore Clarkson: un foglio ingiallito appeso a fianco delle fotografie dei familiari defunti che riporta un’orazione in inglese arcaico del primo governatore di Freetown.

Un patrimonio sempre più fragile

Oltre alle tante vittime civili, la lunga guerra terminata nel 2001 ha colpito duramente anche il patrimonio storico e architettonico della città, che ha cambiato completamente forma durante il conflitto, riempendosi di sfollati dalle aree interne, mentre durante le incursioni dei ribelli centinaia di edifici sono stati distrutti o incendiati. Fra questi anche molte case krio, saccheggiate e rase al suolo, una perdita inestimabile che purtroppo non è terminata con il conflitto.

Molti edifici vanno lentamente scomparendo a causa della speculazione immobiliare nelle aree centrali e dell’assenza di piani di tutela e recupero per le strutture storiche; altri vengono modificati e rimaneggiati: le verande, chiuse per creare altre stanze, cortili e giardini, affittati ed edificati abusivamente, mentre le lamiere ondulate all’esterno e i fogli di linoleum all’interno ricoprono le tradizionali pareti in legno, spesso infestate da termiti e altri insetti.

Sono diverse le iniziative nazionali o internazionali che tentano di preservare il più possibile un patrimonio unico e sempre più fragile. L’organizzazione Architectural Field Office ha addirittura creato una mappa interattiva per censire le case esistenti e permetterne la tutela, ma le risorse per la salvaguardia dei monumenti storici sono da sempre cronicamente insufficienti e la rapidissima urbanizzazione degli ultimi vent’anni rende tutto ancora più complesso.

Per quanto ancora queste costruzioni affascinanti dalle assi consunte e dalle linee contorte che sembrano sempre in procinto di crollare su sé stesse continueranno a raccontare le loro storie di libertà, riscatto e coraggio? La corsa contro il tempo per salvarle è serrata, ma non può essere perduta: Freetown senza le sue case non sarebbe più la stessa.

Questo articolo è uscito sul numero 4/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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