Sette in Africa tra business, delitti e animismo

di claudia

di Angelo Ferrari – Agi

Sincretismo, sette evangeliche, chiese che nascono dal nulla e hanno grande seguito, stanno proliferando in Africa. Si innestano in un tessuto profondamente religioso e animista. E spesso, come è accaduto in Kenya, creano danni enormi e soprattutto arricchiscono coloro che si autoproclamano “pastori” di queste chiese.

Sincretismo, sette evangeliche, chiese che nascono dal nulla e hanno grande seguito, stanno proliferando in Africa. Si innestano in un tessuto profondamente religioso e animista. E spesso, come è accaduto in Kenya, creano danni enormi e soprattutto arricchiscono coloro che si autoproclamano “pastori” di queste chiese. Un fenomeno, purtroppo, non circoscritto ma diffuso in tutto il continente africano. Storie, che lette da noi appaiono incredibili.

Ma l’Africa ne è piena. Tutto ciò appartiene alla sfera religiosa, animista del continente, che spesso viene usata per marginalizzare l’indesiderato o, addirittura, viene strumentalizzata, abilmente usata, per scatenare conflitti, o semplicemente dai santoni per arricchirsi sfruttando un sentimento popolare genuino. L’essere religioso fa parte della natura stessa dell’africano, è una condizione ancestrale.

Non c’è esistenza senza religiosità. È semplicemente inconcepibile. La relazione con il mistero fa parte della cultura africana. L’ateismo, in questa prospettiva, non è comprensibile per un africano, a partire dai capi di stato fino ad arrivare all’ultimo suddito.

Non esistono ceti, livelli sociali o culturali che sminuiscano la presenza degli spiriti. In modo diverso tutti, indistintamente, ne parlano e ne provano timore. Intorno a ciò, tuttavia, occorre considerare che la paura e l’incertezza caratterizzano la vita di fede, qualsiasi essa sia, di molte popolazioni africane.

L’animismo, che rimane la prima religione tradizionale dell’Africa Subsahariana, è una religione che attribuisce un’anima a tutti i fenomeni naturali, un’energia che pervade tutto l’esistente, causa di ogni fenomeno, della vita e della morte, intrinseca in ogni essere vivente, di ogni cosa.

Per i Kassena, una popolazione del Ghana, i loro alberi sacri, assieme alle altre divinità del territorio kassena, come specchi d’acqua e ammassi rocciosi, continuano a essere considerati soggetti attivi e non inerti “oggetti naturali”. Sono molte le popolazioni africane che non riconoscono la morte come naturale, causata da una malattia incurabile, da un incidente che non hai potuto evitare. No, deve essere successo qualcosa di diverso, di estraneo che l’ha provocata.

Durante i funerali, per esempio, la bara per arrivare al cimitero, il luogo dove riposano gli spiriti, spesso percorre un itinerario tortuoso. Coloro che la portano, dicono, che stanno assecondando il defunto, non vogliono disturbare il suo spirito che deve proteggere, nel futuro, il villaggio dagli spiriti del male.

Ma c’è anche un’altra ragione: in questo viaggio il defunto andrebbe alla ricerca del colpevole, cioè di colui che ne ha provocato la morte. Quasi mai si trova il colpevole, se lo si trova è sempre una persona ai margini del villaggio, il più debole, il non gradito o l’handicappato, colui che getta un’ombra su tutta la comunità.

Tutto ciò va a mescolarsi con feticismo, con quel complesso di riti e ritualità che hanno lo scopo di rendere visibile quel dio che è troppo potente per interessarsi dell’uomo, dei piccoli o grandi che siano i suoi problemi, per questi è sufficiente l’intermediario, le forze spirituali, gli stregoni, ma anche i pastori che si auto inventano tali, gli spiriti degli antenati che vengono evocati e miticizzati attraverso rituali magici. 

L’uomo non parla direttamente con dio, come accade nel cristianesimo o nell’Islam, ma ha bisogno sempre di intermediari, e i pastori delle nuove chiese hanno gioco facile. I risvolti di questo sincretismo possono avere conseguenze tragiche, come è accaduto in Kenya, oppure tradursi in leggende metropolitane che prendono il largo di bocca in bocca.

L’animismo, tuttavia, non ha impedito che molte altre religioni, a partire dall’islamismo e dal cristianesimo, prendessero piede in Africa. Con esse sono arrivate e sono proliferate le sette, molte americane, che portano con sè una buona dote di denari e facilmente entrano in sintonia con la spiritualità africana.

Può far sorridere ma in alcuni paesi, come la Repubblica del Congo, ha attecchito la setta dei Raeliani, di coloro che attendono gli Ufo dal cielo che porteranno sulle loro navi spaziali i buoni, dividendoli dai cattivi, nel giorno della fine del mondo.

Nulla di più lontano dalla cultura africana, eppure il Congo ha ospitato due convention internazionali di questa setta. Nelle tradizioni dei popoli animisti l’accettazione di una nuova credenza religiosa non si contrappone ai loro principi. Nuove religioni e nuove sette vengono inserite nel pantheon delle divinità locali e, in talune circostanze, il loro dio viene definito più potente del dio animista. Tutto viene adattato alle credenze locali.

E allora capita che il “pastore” di turno sia in grado di far credere che il digiuno, portato alle estreme conseguenze, avvicini maggiormente alla “conoscenza di Gesù”, come ha fatto il capo della “Chiesa internazionale della buona notizia” in Kenya. Gli autoproclamatisi pastori, per arrivare al potere, combinano ad arte povertà, incertezza, paura e religiosità. E dove le appartenenze religiose sono cosi’ radicate, il gioco è facile. Insomma, una miscela esplosiva. 

Angelo Ferrari – AGI

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