Sahel: l’eccezione mauritana, dieci anni senza attacchi jihadisti

di claudia

Nel Sahel, la Mauritania è l’unico Paese a non aver subito attacchi jihadisti dal 2011. Per questa eccezione regionale il giornale francese La Croix ha dedicato un’intervista al generale mauritano Saidou Dia, ex direttore di gabinetto del comando della Forza congiunta G5 Sahel.

di Celine Camoin

Interrogato su come la Mauritania sia riuscita a neutralizzare la minaccia jihadista, il generale Dia spiega che le forze di difesa hanno studiato con attenzione il gruppo Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), a seguito di una serie di attentati nei paesi del Sahel tra il 2005 e il 2007. Chi erano? Quali erano le loro modalità d’azione, la loro organizzazione, le loro fonti, i loro finanziamenti, i posti che occupavano? “Su questa base abbiamo poi sviluppato una strategia globale. Abbiamo creato un quadro giuridico per qualificare questi attacchi e fermare e processare rapidamente i terroristi. Abbiamo fornito una risposta economica e amministrativa nelle aree vulnerabili in cui operavano: rafforzando la presenza dello Stato e dei servizi di base”. La strategia illustrata dal generale prevedeva di non lasciare spazio laddove i jihadisti potessero entrare in contatto con le popolazioni.

“Le nostre azioni sono state rafforzate da un sistema militare e di sicurezza, composto anche da unità nomade”, che cavalcano su dromedari ed estendono la presenza dello Stato nelle zone più remote, ha precisato il militare a La Croix. Sono state anche create task force speciali, dotate di grande potenza di fuoco, veloci e autonome. “Le strade sono presidiate con mezzi aerei”, e non appena spuntano minacce, vengono neutralizzate. Il sistema è integrato da pattuglie e dall’istituzione di controlli di identità fissi alla frontiera.

Secondo il generale Dia, grazie a questa strategia di sicurezza, sono state smantellate 45 celle dormienti a Nouakchott. “Tra i terroristi arrestati c’erano i loro capi religiosi. Abbiamo inviato loro i nostri più grandi imam, quelli di fama mondiale, per discutere tra loro la dottrina”. Hanno discusso le origini religiose delle loro azioni, gli aspetti legali su cui si basano per agire e reclutare nuovi seguaci. “A seguito di queste discussioni, oltre il 95% dei terroristi si è pentito. Ora sono molto ben integrati nella nostra società. Hanno beneficiato di un programma di integrazione dopo il loro rilascio dal carcere che ha funzionato molto bene”, ha sostenuto l’intervistato. “I nostri grandi teologi hanno dimostrato loro che i loro principi non erano né nel Corano né in altre fonti del diritto musulmano. Hanno mostrato loro che la sharia era necessaria per proteggere lo straniero. Per combattere queste errate letture del Corano, abbiamo deciso di insegnare nelle nostre scuole il nostro rito, ovvero il sunnismo, rito mediano e tollerante, al fine di proteggerle da ogni deriva ideologica che le portasse al terrorismo”, ha spiegato Dia al giornale francese di orientamento cristiano e cattolico. Alla testata, il generale mauritano ha poi precisato che “la parola salafismo non ha lo stesso significato a Parigi che a Nouakchott. Per noi è una parola araba che significa ‘gli anziani’ e non un’ideologia estremista che porta all’intolleranza e alla violenza. Siamo salafiti perché seguiamo la scia dei compagni del Profeta, professiamo il loro islam”.

Rispondendo al giornalista su documenti declassificati dagli Stati Uniti che hanno rivelato che la Mauritania ha pagato ad Aqmi tra i 10 ei 20 milioni di euro per evitare rapimenti di turisti, Dia risponde che è falso. “Le azioni croniche della Mauritania contro le sue reti operative, i suoi campi e le sue trame logistiche, associate alle minacce ricorrenti contro la Mauritania (registrazioni audio e video online) costituiscono una smentita feroce a queste accuse malevole”. 

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